Marlena is back

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I see you di Serena de Gier, ritratto dell’attrice Zhang Ziyi, acrilico su tela 2019

Questo è un blog, cominciamo.

Come dicono quelli bravi, il post che state leggendo è un punto di inizio ideale per i nuovi lettori.
E, aggiungerei, pure per quelli vecchi, che nel frattempo si saranno ormai rifatti una vita.

Giusto un paio di annotazioni per chiarire il concetto di “punto di inizio ideale”.
Si riparte da zero, come se non ci fossimo mai visti né sentiti prima.
Non che “prima” esistesse una qualche sorta di continuità narrativa; ebbene, d’ora in poi esisterà.

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Third Impact

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(Riassunto delle puntate precedenti: dagli ingorghi sulla tangenziale di Torino alla vigilia di un memorabile viaggio in treno, il primo di molti).

La decisione di quel viaggio costituiva una novità assoluta. Non avevo mai trascorso una notte fuori casa da solo, figuriamoci due.
Prima di allora c’era stata un’unica gita scolastica in terza media durata due giorni, una settimana di campo estivo in una struttura salesiana per due estati consecutive e poi, naturalmente, l’anno di servizio militare. Tutti contesti in cui mi ero ritrovato in un gruppo più o meno ampio di miei coetanei, sotto la supervisione di adulti o superiori di qualche tipo. Da solo, mai.

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Uno scatto d’orgoglio

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(Riassunto delle puntate precedenti: che grama vita che vita grama, ero stanco ero stufo, innamorato può darsi, irrisolto di sicuro).

A dire il vero, tutte le caratteristiche del mio personaggio visto da fuori, il bravo ragazzo serio studioso ecc., erano apprezzabili; non c’era niente di male in nessuna di esse. Solo che non erano sufficienti a rappresentarmi né a dire chi fossi e cosa avessi in animo. Mi sentivo ingabbiato, mi sentivo irrequieto a disagio, ma non sapevo come uscire dall’impasse e far emergere un me stesso più autentico.

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Io e Anna

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(Riassunto delle puntate precedenti: tempi duri, pessimismo e fastidio ovunque, voglia di andare via; per fortuna c’era lei col suo sorriso Durbans, solo che ogni tanto, ecco, bah! #mainagioia).

Di aneddoti come quello che ti ho appena raccontato ne ricordo più d’uno, ma devo essere onesto: avevo anch’io i miei momenti what a fuck; anzi, mi portavo dietro un castello di condizionamenti che avrebbero messo a dura prova la pazienza di un santo. In primo luogo, sollecitato fin da piccolo a conoscere tutte le risposte e a non farmi mai trovare impreparato, nutrivo un sacro terrore di qualsiasi eventuale passo falso. Io non potevo commettere errori, non era previsto.

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Un pomeriggio memorabile

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(Riassunto delle puntate precedenti: bello tutto, il lavoro, il capo che stressa, i chilometri, il nuovo stadio, la partita nel giorno dei sedici anni di Checco; ma, alla buon’ora, vogliamo parlare di Anna?)

Viso di porcellana, occhi grandi e luminosi, un sorriso capace di allietare la giornata più cupa. Anna è la ragazza più carina del quartiere (che poi è una frazione, ma non sottilizziamo) e, fin da giovanissima, raccoglie su di sé gli sguardi e l’attenzione di tutti. Anche la mia, si capisce. Soprattutto la mia.
Sono il suo più grande ammiratore.

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Quindici e sedici

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Da sinistra Sebino Nela, Claudio Caniggia e “Pluto” Aldair, nel ritiro estivo della Roma in vista della stagione 1992-93 (foto tratta da qui).

(Riassunto delle puntate precedenti: anni complicati e faticosi, fra demoni urlanti, strade infinite e svariate motivazioni per voler essere altrove).

La prima volta al Delle Alpi fu una riedizione della mia prima volta allo stadio in assoluto, vissuta al vecchio Comunale: un Juventus-Roma. La sfida per eccellenza fra le due regine degli anni ’80, che per me è stata e sarà sempre la madre di tutte le partite. Anche in tale nuova occasione ci andai da “infiltrato” col bus dello Juventus Club di Bra, stavolta insieme al mio vecchio.
Quel pomeriggio pioveva, chissà per quale motivo i cancelli vennero aperti tardi e noi, lì fuori in fila ad aspettare, ci bagnammo un po’. Pazienza. Partita bagnata partita fortunata, si sarebbe detto. Ci mancò poco che lo fosse davvero.

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Macinavo chilometri

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Stadio delle Alpi, Torino, in un’immagine presa da qui.

(Riassunto delle puntate precedenti: in principio soprattutto fatica, alte pressioni e un dannato demone, tutto entro i confini di una sola regione).

Le mie trasferte di lavoro mi avevano portato a familiarizzare con la tangenziale di Torino. Con le sue uscite, con i rallentamenti e le code che (immancabilmente) si formavano, verso le otto di mattina e dopo le cinque del pomeriggio, intorno a quell’obbrobrio di ingegneria stradale – situato fra gli innesti di Corso Allamano e Corso Francia in direzione nord e di Savonera e Pianezza in direzione sud – che era lo svincolo per la Torino-Bardonecchia. Esempio più unico che raro, per giunta in uno dei punti più trafficati della regione, in cui si vedeva sovvertito un principio fondamentale di un’autostrada: non presentare incroci a raso.
(La tangenziale di Torino è a tutti gli effetti un’autostrada, ha perfino una sigla, A55; ma anche se si fosse trattato solo di una strada a scorrimento veloce, avrebbe fatto poca o nessuna differenza).

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Di demoni e nuove barriere

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Una calzante rappresentazione di un demone infernale, tratta da qui.

(Riassunto della puntata precedente: un po’ di numeri aggiornati, e poi di nuovo a quella volta di trent’anni fa).

All’epoca dei fatti il cosiddetto Demone Biondo era il mio capo. Uomo di piccola statura e paffutello, con un paio di baffoni biondo cenere e una chioma leonina del medesimo colore, pareva una sintesi fra il compianto Alberto Castagna e il professor Dairi di Jeeg Robot d’Acciaio. Al primo approccio lo si sarebbe ritenuto una persona divertente e alla mano; peccato che al primo approccio ne sarebbero seguiti molti altri, in cui l’impressione iniziale sarebbe virata, radicalmente, verso l’amara consapevolezza di avere a che fare with a fucking asshole.

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And many more years

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L’interno del Colosseo con vista prospiciente il piano dell’arena o, in altre parole, l’ovale più famoso del mondo © Dario Angelo, Roma, 15 giugno 2021

Caro Dave,

mi sono preso un breve periodo di pausa dal mio racconto, ma non sono rimasto con le mani in mano. Ho viaggiato un po’ fra Milano e Roma,

ad ammirare mostre di grandi artisti1, presenziare a eventi giornalistici2, assistere a partite della Roma3 – tutte vinte, peraltro, daje! – e fare visita a romani de Roma.

Fra tutto ciò ho pure lavorato, che le bollette mica si pagano da sole. Mi son dato da fare, insomma. E ora rieccomi a te, per riprendere da dove ci eravamo lasciati. Procediamo.

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A sort of homecoming

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(Riassunto delle puntate precedenti: un lungo viaggio nella memoria, dalla culla a quest’oggi).

Sotto quel cielo grigio e gravido di umidità, anche la mia città natale, al primo sguardo consapevole che le rivolsi, mi parve grigia. E grande. Troppo grande.
La prospettiva a quattro corsie di via del Corso mi fece un effetto straniante.
La vastità di piazza Galimberti mi sembrò infinita, da vedere così come da attraversare.

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Colori e principesse

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(Riassunto delle puntate precedenti: un viaggio, un premio, un treno, una città da scoprire, uffa che barba questi disegni! Ma poi arriva un eroe cosmico e il mondo diventa più interessante).

Tutto quell’esercizio settimanale era poi integrato con abbondanza di occasioni quotidiane, perché la cara maestra ci chiedeva di realizzare dei disegni pure per illustrare i nostri temi svolti in classe, una volta che avessimo terminato di scriverli e in attesa che finissero tutti gli atri, per non stare lì con le mani in mano.

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