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Ahh…

questo “fiore giallo” esce in anticipo rispetto agli uno/due a settimana che avevo fin qui pensato. Ma dopo una giornata come quella di ieri, che mi ha offerto anche troppi spunti polemici (non mi rammarico certo di essere stato polemico, bensì che gli spunti fossero purtroppo così tanti), avevo bisogno di un po’ di acqua fresca per dissetarmi.
E con l’occasione faccio anche uno strappo alla regola, dal momento che i due fiori di oggi non sono di estrazione letteraria, bensì musicale. Con testi scritti, però, da un professore di lettere del liceo, e dunque il cerchio può dirsi perfetto 😉

Adoro ciò che scrive e canta Vecchioni, e pensare che fino ai 30 anni quasi non lo conoscevo. In campo musicale tendo a volte ad essere un po’ esterofilo. Poi un bel giorno, durante il viaggio di ritorno in treno da una piccola vacanza or non ricordo con esattezza dove (ma sarà stata Roma o Firenze, bella storia, insomma), un amico mi ha passato le cuffie del suo walkman per farmi ascoltare un paio di pezzi. Ed erano proprio questi due qui sotto. L’amico si chiama Gianluca, è un poeta e scrittore, e colgo qui l’occasione per ringraziarlo pubblicamente, per avermi permesso di scoprire questi due piccoli gioielli ed il loro autore (°).

Il primo brano si intitola Le lettere d’amore (Chevalier de Pas), e non voglio qui annoiarvi elencando tutte le corrispondenze di amorosi sensi, i concetti e le parole in cui in esso mi riconosco. Ciascuno di voi potrà trovarne di propri, se gradirà. Vi basti sapere che si tratta di uno dei brani musicali che in assoluto amo di più, perchè lo sento mio come pochi altri.

Ho avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo, anni fa, durante un concerto all’aperto di Vecchioni su una pubblica piazza. Quando l’ho visto lì sul palco, uno scricciolo d’uomo ingrigito e smunto, che pareva lo tenesse su l’aria, mi sono domandato come avrebbe fatto ad eseguire certi brani, specie quelli dai toni più alti e vivaci, anche se erano i suoi. Poi cominciò a cantare, e il dubbio svanì.
Ad un certo punto (non conoscevo la scaletta) arrivò il momento più sperato ed atteso, quello in cui annunciò questo pezzo, e attaccò. E lo rese in un modo, in un modo, vi dico, che capii forse meglio che in qualunque altra occasione come, per fare bene una cosa (anche se non hai più vent’anni e nemmeno 30 o 40 e sembra quasi che ti possano mancare le forze da un istante all’altro) è sufficiente farla con amore. Perchè come disse lui stesso più tardi, lì su quel palco, sempre di amore si tratta. “Tutto quanto è amore”, ci disse.

Ho parlato anche troppo, ora è il momento di lasciare parole e musica al maestro… ci risentiamo dopo il brano!

Piaciuto? Se non vi è piaciuto, ragazzi, fatemi (e soprattutto, fatevi) un favore: riascoltatelo, perchè non è possibile. Ok? 🙂

Bene, passiamo al secondo brano. Il cielo capovolto (Ultimo canto di Saffo) che dà il titolo anche all’album dal quale entrambi i pezzi sono tratti, e la cui copertina potete vedere nella foto qui sopra (di nuovo un quadro di Klimt, neanche a farlo apposta). Un testo delicato e struggente, di amore sensibile, appassionato, di straordinaria dolce bellezza. Un amore saffico, certo, di una donna per una donna. Giusto per restare in tema con i miei post più recenti, in fatto di amore che sia amore, senza bisogno di aggiungere altro. A questo proposito, voglio citare il commento di Mistral, una poetessa che ho da poco conosciuto tramite il suo blog Ombreflessuose, che vi consiglio caldamente di visitare. In calce al mio precedente fiore giallo, Mistral ha scritto queste parole:

L’ amore non si giudica ma si vive
Ogni amore ha la propria bellezza
L’ amore è sovrano

Non credo occorra aggiungere altro.
Non mi rimane, per la seconda ed ultima volta di oggi, che lasciare la parola alla musica. Alla prossima!

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(°) Cosa non nuova, peraltro, nel panorama delle mie personali epifanie musicali. Un episodio analogo era capitato durante il servizio militare, correva l’anno 1992, una sera in cui io e il mio amico Paolo eravamo seduti sulle rispettive brande in attesa che venisse l’ora della libera uscita.
Io stavo sproloquiando di Masini, fino a che lui mi tese le cuffie attaccate al walkman con cui stava ascoltando una cassetta appena comprata. Disse solo “zitto e ascolta qui”. Io tacqui e ascoltai. La suadente voce divina di Bono giunse ad accarezzarmi i timpani con i versi di One, e da quel giorno (come già altre volte, in altri ambiti) il mondo non fu più lo stesso 🙂
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(La foto che compare nell’articolo è tratta da questa pagina web)