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Roma, 20 dicembre 2015. Illuminazione notturna del Foro di Traiano

Roma, 20 dicembre 2015. Illuminazione notturna del Foro di Traiano

E’ da molto tempo, ormai, che ad anni alterni vivo l’approssimarsi del Natale con una certa apprensione. Come se il sopraggiungere della festa che dovrebbe essere (o si vorrebbe che fosse) la più gioiosa dell’anno, piena di buoni sentimenti “istituzionali”, per contrapposizione mettesse in risalto eventuali disagi, di qualsivoglia natura, che ci si porti dietro o si prefigurino all’orizzonte. Ora, lasciamo stare la connotazione religiosa dell’evento, poiché è noto anche ai sassi che il Natale cristiano sia stato sovrascritto, come un upgrade di Windows, sui saturnali di epoca romana che guarda caso si svolgevano proprio in questo periodo. Non è l’ipocrisia fideistica che mi disturba, nella circostanza. Semmai, è la mancanza della magia, di quella aspettativa quasi surreale che quand’ero bambino mi faceva pensare al Natale come a un momento fatato.

Da grande, smarrita quella magia, più di una volta mi sono accontentato del fatto che il 25 dicembre, con annessi e connessi, mi scivolasse via con nonchalance, senza fare danni.
Quest’anno, però, ho provato a rifletterci un po’ su. Lo spunto me lo ha dato un signore gentile incontrato lunedì mattina in Piazza Navona, mentre portava a spasso il cane, col quale (il signore, non il cane) ci siamo interrogati sull’assenza, in quel luogo, dei tradizionali mercatini natalizi. Giusto una giostra e quattro bancarelle di numero. Colpa delle licenze, mi ha informato il signore gentile. Pare che la municipalità si sia accorta d’improvviso che buona parte degli espositori fosse, come dire, abusiva, o comunque non in regola con i permessi. (A me sorge il dubbio che, forse, a qualcuno sia venuto in mente di inventare sui due piedi delle regole nuove, vale a dire tasse e balzelli, imponendo agli ambulanti di adeguarsi in tempo zero, per la serie pagare o morire… ma forse sono io che sono troppo malizioso).
Fatto sta che la celebre piazza, pur bellissima come sempre, appariva un po’ triste in quella sua fredda penuria di bancarelle natalizie. “E’ un vero peccato per chi ha dei bambini”, mi diceva il signore gentile con il cane, “questa dovrebbe essere la loro festa, la festa dei bambini”.

Eh già. E’ vero. Mica delle famiglie. Il Natale, in particolare, più di ogni altra ricorrenza, è sempre stata la festa dei bambini. Non solo per i regali. Anche per quelli, certo, ma non solo. Una sorta di zona franca, le lezioni scolastiche sospese per due settimane, le leccornie a pranzo e cena, i giochi.
I giochi. Perché i regali per i bambini hanno questo di buono, non si esaurisco nel momento della sorpresa, vanno vissuti, vanno consumati. Giocando, leggendo, guardando, inventandosi delle storie destinate a non avere fine.
Anche per me era così, negli anni della mia infanzia, quando il Natale, povero o ricco che fosse, era sempre una festa. E poi c’era la neve (e su questa parole mi parte in testa il sottofondo musicale di Milva con Alexander Platz, non esattamente una canzone allegra… ma non ci posso fare niente, è un mio corto circuito mentale).

Di neve, dalle mie parti, non se ne vede più molta da parecchio tempo, e se cade, cade più in là, a stagione inoltrata, verso fine gennaio. E di regali divertenti, coi quali poter trascorrere ore spensierate e felici, dai 10 anni in poi ne ho ricevuti sempre meno. Il segnale antropologico che non si è più bambini e si è diventati adolescenti, a parer mio, si ha quando familiari e parenti iniziano a regalarti sempre più spesso pigiami e maglioni, oppure buste con dentro dei soldi “così ci compri quello che vuoi”. Pigiami e maglioni sono utili, ma come sorprese, ne converrete, smorzano alquanto gli entusiasmi. Quanto ai soldi, in effetti sono molto divertenti, ma questa è una cosa che si arriva a comprendere soltanto dopo qualche anno, quando invece di un solo libro per Natale si comincia a desiderare una piccola biblioteca, invece di uno o due fumetti, una collezione completa.

Ma la discriminante, in ultima analisi, non sono nemmeno i regali, i giochi o i libri o i fumetti o il pomeriggio al cinema a vedere l’ultimo film di Bud Spencer e Terence Hill. E’ il tempo. La peculiare qualità di quel tempo.
Il tempo trascorso a giocare, a leggere, a sognare, come se il domani, e il ritorno a scuola, non dovessero arrivare mai. Il tempo dedicato gioiosamente, ed esclusivamente, a me stesso, come in un eterno presente.

Ecco, alla fine ci sono arrivato. La magia del Natale, perduta da così tanti anni, non stava nei regali che ricevevo o nelle cose che facevo o in ciò che non sapevo e di cui non mi preoccupavo. Non stava nemmeno nella neve, anche se, indubbiamente, l’ammirare dalla finestra, o dal marciapiede, il mio giardino sospeso in un bianco e ondulato silenzio, trapunto di stelle dal chiarore della luna, è un incanto di cui avverto la mancanza.
La magia stava nel fatto che quand’ero bambino il Natale era un momento tutto per me. Un momento in cui ero felice di nient’altro che di essere al mondo, nel “mio” mondo, sprofondato anima e corpo in ciò che amavo di più.
E sapete come ho fatto a capirlo? Perché è così che mi sento quando sono a Roma, e cammino per le strade e le piazze della Città Eterna.

Quest’anno, il Natale che vorrei l’ho già avuto, pochi giorni fa, nei quali mi sono regalato un weekend in un luogo magico, dove ogni cosa, l’aria i colori le pietre i mattoni, non ultima la gente, mi restituisce la quotidiana meraviglia e il grato stupore che era il mio essere bambino a Natale.
Ed è ciò che auguro, oggi, a ciascuno di voi. Che il Natale sappia restituirvi, anche solo per un giorno o due, la fanciullesca spensieratezza di sentirvi in perfetta armonia con voi stessi e con il vostro mondo, perché possiate prima di tutto prendervi un po’ di autentica cura di voi, e di conseguenza, illuminare chi vi sta accanto.

E a questo punto potrei anche chiudere qui. Ma una foto pubblicata da Katherine nel suo ultimo post, in cui si vede il suo pianoforte adornato di addobbi natalizi, mi ha fatto venire un’idea alla quale non ho saputo resistere.
In via del tutto eccezionale (per adesso, in futuro chissà), mi produco dunque in un saluto cantato, suonato e parlato. Spero vorrete avere l’indulgenza di considerarlo solo un piccolo divertissement natalizio, ovvero niente di troppo serio 😉

Auguri!

 

P.S. I miei blog si prendono una pausa natalizia. A risentirci l’anno prossimo, vale a dire, fra un paio di settimane. Bye!