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(Riassunto delle puntate precedenti: un viaggio in treno, uno sguardo alle origini, dai sette anni in poi si lavora e si fatica per accontentare la maestra, e basta!).
Per varie settimane, dunque, vi furono pianto e stridor di denti; perché a me di fare quei disegni, fra il sabato pomeriggio e la domenica, non importava un fico, io volevo solo potermi fare gli affari miei e giocare un po’, uffa.
Eppure, quei disegni s’avevano da fà, mi dovevo impegnare; sennò poi la maestra il lunedì era lì a labbra serrate e sguardo di fuoco, a fissarti come se avessi rubato l’ostia in chiesa.
Poi, di colpo, tutto cambiò.
Una sera di primavera, all’alba dei miei sette anni, arrivò lui: il secondo dio della mia infanzia. Direttamente dalle stelle, o dal Giappone, che all’epoca per me era quasi lo stesso; con un passaggio (strada facendo) per le Gallie, pardòn, per la Francia, dettaglio del quale non sapevo nulla ma poco importa.
Nella scatola magica della TV d’un tratto comparvero Goldrake e i suoi nemici, quei fantastici robot giganti, quelle armi spettacolari. Fu pura magia. E fu la mia salvezza.
L’immaginazione mi si accese e divampò, come i motori di un Satun V in rampa di lancio al segnale di Gō: prese quota e volò in alto, sempre più su, verso l’infinito e oltre. Fu l’inizio di un viaggio che non avrà mai fine.
All’improvviso mi venne una voglia matta di disegnare quelle nuove portentose meraviglie. Iniziai dalle cose semplici, prima il TFO di Alcor (che poi altri non era che Koji Kabuto, ma non divaghiamo), poi Alcor stesso, Rigel, Mizar, Venusia, Banta. Il generale Hydargos, il supremo Gandal e re Vega. Vari mesi dopo sarebbero arrivati anche il ministro Zuril e Maria Fleed; ma, di nuovo, non divaghiamo.
E naturalmente Actarus/Duke Fleed, che te lo dico a fare: sia in abiti civili che, soprattutto, con indosso la sua spettacolare tuta di volo e quell’elmetto bello bello bello in un modo assurdo, tanto che ora ne ho una copia fedele e indossabile esposta nel mio studio, una cosuccia che mi è costata giusto due lire ma è valsa e vale ogni centesimo.
E poi, altrettanto naturalmente, Goldrake, con disco e senza. Quella magnifica testa piena di linee, di diagonali e di corna. I boomerang sulle spalle. La grande V rossa sul petto, a richiamare gli elementi caratteristici dei suoi predecessori; che da noi, in TV, arrivarono però solo più tardi e dunque, a quel primo approccio, noi piccoli spettatori di tale favoloso avvento non potevamo cogliere alcuna similitudine.
Gli spallacci, così simili a quelli delle armature medievali che già mi mandavano in visibilio. Gli avambracci con le lame dei magli ripiegate, pronte a scattare in avanti e mettersi a roteare vorticosamente. Le mani, con ogni falange articolata su un anello di giunzione e con i lanciaraggi sul dorso.
Le gambe possenti “a zampa di elefante” come i pantaloni che andavano all’epoca. I dettagli neri, rossi e blu. Che io indovinano dalle sfumature di grigio della nostra vecchia TV in bianco e nero e poi, nella mia mente, mixavo con le immagini a colori di quei personaggi che iniziavano a comparire in ogni dove, nelle vetrine dei negozi e nelle cartolerie, dai pupazzetti ai diari scolastici alle copertine dei quaderni.
A furia di disegnarli, imparai a riprodurre quei soggetti a memoria, a mano libera, con una precisione notevole per la mia età. In classe, i miei compagni presero a richiedermi dei disegni di Goldrake e dei suoi nemici, scene di battaglie e di avventure straordinarie; in cambio, all’inizio mi offrivano solo occhi sgranati di ammirazione e slanci di riconoscenza, ma poi passarono a ricompensarmi in figurine.
In breve tempo, i disegni assegnati dalla maestra, ogni benedetto sabato per il lunedì mattina seguente, non furono più un problema. Avevo imparato a disegnare ed ero pure bravino, si vede che il talento l’avevo (ne avevo parecchi, a dire il vero, sia detto senza falsa modestia), ma per tirarlo fuori ebbi bisogno di una motivazione adeguata. Dopo Sandokan, mi occorreva un altro dio guerriero, qualcuno di ancora più fuori dall’ordinario, che giungesse ad ampliare i miei orizzonti.
I giganteschi e favolosi robot del maestro Gō Nagai irruppero nella mia vita giusto a proposito, e io fui pronto ad accoglierli con occhi, cuore, mente e braccia spalancati. Cosa sarebbe stata la mia infanzia, ma che dico la mia infanzia, la mia vita intera, senza di essi, proprio non so immaginarlo. E non mi riferisco soltanto all’aver imparato a disegnare grazie a loro.
(segue)
CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:
Il primo dio della mia infanzia | Il secondo dio della mia infanzia
e poi
“Bello bello bello in un modo assurdo” è una citazione da Zoolander, di e con Ben Stiller.
Gō Nagai, padre degli dei. Domo arigato gozaimashita!
I personaggi della serie di Goldrake, spiegati bene e in poche parole.
I predecessori di Goldrake sono Mazinga Z, pilotato da Koji Kabuto (che noi avremmo conosciuto dapprima come Alcor-e-basta e poi come Rio Kabuto, giusto per confondere ancor più le idee) e costruito da suo nonno Juzo, e il Grande Mazinga, pilotato da Testuya Tsurugi e costruito dal padre di Koji, Kenzo Kabuto. Goldrake è di fatto il terzo capitolo di una trilogia, che in Italia – a causa delle scarsa conoscenza di questi prodotti giapponesi e per motivi di programmazione e concorrenza fra emittenti pubbliche e private – approdò in televisione in ordine inverso. Curiosamente, il terzo capitolo è anche il primo in cui sia il protagonista che il potente mezzo con cui combatte sono di origine extraterrestre.
“Maaa chi èèèè!! Maaa chi èèèè??” è un verso della celeberrima e fortunatissima sigla italiana di Ufo Robot Goldrake, realizzata da Vince Tempera, Ares Tavolazzi e Luigi Albertelli, che chiunque, dall’aprile del 1978 a oggi, ha ascoltato almeno una volta nella vita.
Saturn V è il razzo utilizzato dalla NASA nelle missioni Apollo, dunque è il vettore grazie al quale l’uomo ha potuto mettere piede sulla Luna. Varie volte.
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