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Sarà l’atmosfera natalizia che incombe e mi rende più sentimentale del solito, ma la storia commentata ieri l’altro da Gramellini sul suo Buongiorno quotidiano è proprio bella, e la voglio condividere.

Massimo Gramellini – Io me la cavo

E’ la storia di un gruppo di lavoratori di un’azienda del napoletano, che di fronte alla chiusura dello stabilimento, tempo fa…

[…] decisero di investire i proventi della liquidazione, venticinquemila euro a testa, nell’acquisto dell’azienda.
A dispetto dei luoghi comuni sul fatalismo meridionale, rinunciarono ai soldi con cui avrebbero potuto campare decorosamente almeno qualche mese per comprarsi la possibilità di tornare a lavorare.

Una storia che per ora sta funzionando, e mi auguro (e auguro a queste persone) che possa farlo ancora a lungo. Di certo, hanno dimostrato che rimboccarsi le maniche e metterci del proprio, reinventando se stessi e il proprio ruolo, anziché piangersi addosso per le disgrazie imputabili a scelte di altri e rivendicare ad oltranza l’intervento di altri ancora, ovvero le istituzioni di uno Stato le cui finanze sono alla canna del gas, è il modo migliore per andare avanti con dignità e riappropriarsi del proprio futuro.

Sul sito de La Stampa, al termine di questo articolo compare il collegamento ad un altro, di qualche mese fa, che racconta storie analoghe, sia individuali che di gruppo:

L’ecommerce dei piccoli, gli operai-badanti e i dipendendenti-imprenditori. Storie di nuovo lavoro

Tutte quante, al pari della testimonianza di cui sopra, restituiscono un po’ di fiducia nelle capacità di ciascuno di riprendere in mano la propria vita professionale.

Apprezzo molto questo genere di notizie, li considero contributi costruttivi, capaci di fornire spunti di positività e cambiamento a chiunque. Soprattutto a quelle persone che vivono il disagio della precarietà quotidiana e nella paura del domani, e non hanno fiducia in alternative concrete, solo perché, magari, non riescono a immaginarle; condizionati dalle proprie legittime preoccupazioni, che tolgono energie e lucidità e vincono su tutto.
Sono queste le storie di cui vorrei leggere più spesso, anziché i bollettini di guerra di chi non ce l’ha fatta. Ci sarà sempre chi non ce la fa, in minore o maggiore numero, per qualsivoglia motivo. E che andrebbe aiutato, certo, ma questo è un altro discorso. Il primo aiuto, la spinta fondamentale, è quella che ciascuno è in grado di offrire a se stesso.
Perché, come si dice, fa più rumore una foresta che cade di un albero che cresce; e a cadere, fosse anche solo per una questione di gravità, sono capaci tutti. Rimettersi in piedi, invece, è un altro paio di maniche.
E dunque, a beneficio degli uomini e delle donne di buona volontà, ben vengano le testimonianze di quelli che sono caduti, o che hanno vacillato, e che sono riusciti a rialzarsi con le proprie forze.
Perché il loro esempio possa servire ad altri.