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Immagine artistica della Barriera ne Il Trono di Spade, tratta da qui.

Caro Dave,

di fronte a casa mia, casa nostra, da che io abbia memoria c’è sempre stata una barriera.
Non un altissimo muro di ghiaccio come ne Il Trono di Spade e, se è per questo,

neanche di altro materiale; però una barriera c’è sempre stata, fin dall’inizio.
Invisibile, ma c’era.

In un certo senso, la strada provinciale, che corre proprio davanti alla recinzione del nostro giardino e che collega un piccolo gruppo di villette di periferia sia al centro città che alla vicina frazione (quest’ultima a noi più prossima del suddetto centro città, peraltro), ne può essere una sorta di rappresentazione.
Una strada su cui transitano varie persone, ogni giorno, a ogni ora, in entrambe le direzioni, in auto, bici, moto, quant’altro. Traffico scorrevole ma abbastanza continuo, potremmo dire, a seconda dei momenti della giornata.
Persone che transitano in entrambe le direzioni e che perlopiù non si fermano davanti al cancello di casa mia, casa nostra. Per il semplice motivo che non sono invitate.

Il mio vecchio è uno che ama starsene per conto suo, e la nostra famiglia ha sempre mantenuto un profilo schivo e riservato. Pochi contatti con i vicini, con cui ci si parla da un balcone all’altro, o dal rispettivo lato delle recinzioni che separano cortili e giardini. Ma di scambi, di visite fatte o ricevute, ben poche.
Giusto un po’ di più nei primi anni, quando io ero bambino e capitava che mia madre dovesse lasciarmi a casa di una o dell’altra vicina, mentre mio padre era al lavoro e lei doveva uscire per commissioni.
Oppure (vivaddio) per un momento di gioco; soprattutto nella bella stagione, o durante le vacanze estive, con i pochissimi altri bambini più o meno della mia età delle case vicine. Poi, più avanti, perché venivo inviato in missione al capezzale di qualche amichetto in difficoltà con i compiti, che fosse matematica, un tema o un disegno. Mia madre sembrava non saper resistere, se un’altra mamma del vicinato accennava, anche solo di sfuggita, al fatto che il suo figlioletto, quel giorno, sarebbe stato alle prese con un impegno scolastico che l’avrebbe messo a dura prova. Che problema c’era, quando si poteva sempre contare sull’amichevole e versatile studente modello di quartiere?

Ho imparato ben presto, a mie spese, quanto sia solitario e assai poco gratificante il ruolo del numero dieci. Quello a cui tutti fanno riferimento senza nemmeno provarci, diciamo; e che, se per caso capita sia lui ad avere bisogno di una mano, finisce che s’arrangia da solo. A chi mai potrebbe chiedere aiuto, se tutti quelli che conosce sono soliti chiederlo a lui?
Ma che ci vuoi fare, mio buon vecchio amico. La mi madre ha sempre avuto un animo generoso; io, dal canto mio, oltre che prodigo tendevo pure a lasciarmi prendere per vanità (anche se mi scocciava dover fare i compiti degli altri oltre ai miei, che per me solo impiegavo giusto cinque dieci minuti e poi ero libero di giocare, uffa), dunque il mio destino era pressoché segnato.

Parenti, non molti nemmeno quelli. Siamo sempre stati noi, il più delle volte, ad andare a far visita a loro che non il contrario. Semplice abitudine, un’inclinazione che io ho acquisito a mia volta, quando ho messo su casa.

La Barriera invisibile si è rafforzata durante la mia adolescenza, perché la (relativa) distanza dalla città vera e propria, nonché la (ipotetica) pericolosità della sede stradale, inducevano mia madre a inculcarmi forte e chiaro il convincimento che in quella direzione, cioè nella direzione più popolata sia di persone che di miei compagni di scuola – amici che frequentavo solo durante le ore di lezione, appunto – non ci fosse nulla di interessante, e che si stesse di gran lunga meglio a casa.
Io trascorrevo le mie giornate giocando da solo, ascoltando musica, immergendomi in qualche libro o in un albo a fumetti; a superare la Barriera e andare a vedere che si dicesse in centro non ci pensavo nemmeno.
Giusto qualche film al cinema, ogni tanto, ma sempre accompagnato da uno dei due vecchi; che al tempo vecchi non erano affatto ma, in un certo senso, si comportavano già come tali.

Il mio sbocco naturale divenne la vicina frazione, con la sua piccola chiesa, di cui diventai l’organista e lo rimasi per molto tempo (questo capitolo merita una storia a parte, prima o poi ci arriveremo), e il suo piccolo campo da calcio, dove scoprii che giocare in attacco mi piaceva una cifra e che segnare un goal era bellissimo, figuriamoci due o tre. O quattro. O cinque. Insomma, ci siamo capiti.

La mia vita era questa. Casa, scuola, chiesa e piccolo oratorio di frazione.
Oltre la Barriera, in direzione centro città o verso luoghi non troppo lontani, si andava solo per le cose serie: prima di tutto la scuola. Poi, visite ai parenti, in particolare alla cara vecchia nonna materna e alla famiglia del mi babbo, che risiedeva e ancora risiede nella dimora avita, in un’altra città a una manciata di chilometri da casa nostra. Acquisti inderogabili. Catechismo (quanto lo odiavo).
E naturalmente, dopo il diploma, il lavoro.

(segue)


CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:

Il Trono di Spade, celeberrima serie TV tratta da un ciclo romanzi di cui attendiamo con ansia la fine, ormai da parecchio tempo.