Tag

, , , , , , , ,

stay centered and balanced © Julian Vlad 2015

E’ bello essere di nuovo a casa. Spero di poterci restare più a lungo, questa volta.

Era già da un po’ che indugiavo sulla soglia, ma mi trattenevo dall’aprire la porta.
Non mi sentivo pronto.

Col passare delle settimane, tuttavia, i miei scrupoli si indebolivano. E poi c’era quel riquadro su Facebook, con le statistiche relative alla pagina di questo blog, che nei miei 90 secondi di lurking quotidiano mi sollecitava con frasi tipo: tot persone a cui piace Julian Vlad non hanno tue notizie da un po’. Non pubblichi nulla da 521 giorni.
522 giorni. 523 giorni.
E andava avanti così, un giorno dopo l’altro, come goccia che scava la pietra. Infine mi sono deciso. Il conteggio è arrivato a 543 giorni, da lì in poi è storia di oggi.

In un passato non lontano, rompendo un silenzio durato tanto a lungo, mi sarei sentito in obbligo di dare spiegazioni. Ora non più. Si viene e si va, accadono cose che non si posso controllare, oggi sono qui, domani chissà. Verranno occasioni, strada facendo, di tornare sui fatti di quest’ultimo anno e mezzo. Ma per adesso non c’è alcuna premura. Andiamo avanti.

Nel periodo non collegato ho letto un po’ e guardato parecchia tv. E come sempre, ho preso appunti. Ecco dunque, dal mio carteggio amanuense di fiori gialli, un paio di citazioni nemmeno troppo datate:

01/04/2015

Non si può cambiare il vento, ma si possono regolare le vele.

Kate Beckinsale, in Cate McCall – Il confine della verità

28/04/2015

Cerco un significato, delle regole da seguire, quando invece c’è solo… la vita.
Quindi continuerò a inciampare lungo il cammino.
E immagino che… vada bene così.

[…]

Nessun altro innocente morirà più per causa mia. Neanche uno.
Hai la mia parola.
(Mentre lo dice sa che, in realtà, può promettere solo di provarci. Ma questo è implicito. Ora è in pace con ciò che non può controllare. Un giorno fallirà. Un giorno morirà. Ma, fino a quel giorno, sarà il migliore in quello che fa).

Due mesi per morireL’ultima storia di Wolverine, prima parte
testi di Paul Cornell, disegni di Pete Woods
da Wolverine 301 del febbraio 2015, Marvel Italia

In entrambi i casi, il filo conduttore è l’accettazione della realtà per come è. Una presa di consapevolezza che conduce a una scelta, la scelta di non contrapporsi a forze contro cui non si può lottare, e di adattarsi, cercando di fare del proprio meglio per andare comunque avanti, evolvendo nella capacità di stare al mondo. Tutt’altro che una resa, dunque.
Una lezione quotidiana su cui ho meditato a lungo, in tempi recenti e meno recenti, e che sto ancora cercando di apprendere e fare del tutto mia. Un lavoro che non si finisce mai di imparare.

Sul film con la Beckinsale non ho molto da dire. Un prodotto tv ben costruito, piuttosto lineare, ruoli definiti e privi di ambiguità, il genere di 90 minuti che scorrono via sullo sfondo catturando il giusto grado di interesse mentre si è intenti ad altro: cenare, comporre un puzzle, fare un disegno. La protagonista è un avvocato che ha un’occasione di riscatto dopo trascorsi poco limpidi, e la frase che ho colto è l’unico ulteriore dettaglio che mi sia rimasto impresso.

Semmai, stupisce che una considerazione analoga possa venire da un personaggio come Wolverine, il mio vecchio amico irsuto, uno abituato ad affrontare cataclismi e orde fameliche a petto nudo e artigli spianati. Stupisce, e proprio per questo è perfetta per esprimere quella presa di coscienza di cui parlavo prima, da parte di un tale indomabile combattente, che a un certo punto si vede costretto a fare i conti con una sopraggiunta e inattesa fragilità. Ed ecco allora il basso profilo, la consapevole umiltà, e al tempo stesso l’immutata determinazione.

E qui ci riallacciamo a quanto sopra. Perché di tutto ciò che si possa e si debba riconoscere di non poter controllare, le proprie fragilità intrinseche sono la parte peggiore.
Alle difficoltà esterne si può fare l’abitudine, ma a sentirsi (o a riscoprirsi) intimamente fragili, e in quale misura, credo non ci si possa mai davvero abituare. Si può imparare ad accettarlo, farsene una ragione, e (prima o poi) riuscire a vivere comunque sereni.

Ma abituarcisi, questo no, credo non sia proprio possibile.