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Questo non è uno dei miei consueti post.
In primo luogo, perché non è un post, ma un vero e proprio articolo, di oltre 4000 parole. In secondo luogo, perché è una cosa che non ho scritto adesso, ma 14 anni fa, a corredo di una tesina per un’amica che frequentava l’Accademia di Belle Arti.
In terzo luogo, ultimo ma più importante di tutti, perché pur sotto forma di commento a un’opera di fantasia (che, come leggerete, di fantasia purtroppo ne contiene ben poca) costituisce un tributo. Alla memoria.
INTRO
UNA STORIA COME UN’ALTRA (?)
E’ lecito supporre che chiunque entri in un’edicola con l’intento di comprare un albo a fumetti, e si appresti più tardi a leggerlo, in cuor suo sia pienamente consapevole (e forse anche desideroso) di accostarsi ad un’opera di pura invenzione, qualunque sia l’argomento trattato o il contesto più o meno realistico in cui si svolga l’intreccio.
Supposizione che è possibile estendere ai lettori di fumetti di qualunque età, dal ragazzino o adolescente in cerca di avventura ed eroismo ben raccontati, allo studente universitario che per staccare ogni tanto la spina ami immergersi negli ampi orizzonti della fantasia disegnata; dal collezionista trentenne appassionato a tal nobile forma (non di rado ingiustamente sottovalutata) di arte “sequenziale”, al maturo padre di famiglia che da cinquant’anni a questa parte abbia mantenuto un affettuoso legame con quel mondo di immutabili, confortevoli orizzonti (e granitici valori) che sin dal ‘48 vede all’opera, infaticabili, il grande Tex Willer e i suoi pards.
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