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Ella y yo, un sábado por la mañana, con el sol detrás de nosotros

Cara Diemme,

le domande che ti poni sono semplici e al tempo stesso esistenziali, scatenano riflessioni complesse che richiedono di venire ponderate con particolare cura, facendo appello a un sereno contemplativo distacco che per fortuna di questi tempi non mi fa difetto. Provo a risponderti procedendo a braccio, in ordine sparso.

In primo luogo, per quanto mi riguarda credo che porsi di tali domande, sentirsi a volte appagati a volte insoddisfatti e scoraggiati, sia perfettamente normale. Sono solo gli stupidi e i mediocri che non accusano oscillazioni di umore (o quanto meno non se ne rendono conto), non si interrogano, non si mettono mai in discussione e vivono in un eterno presente fatto di solide immutabili certezze. Javier Marías, scrittore spagnolo che ho avuto modo di scoprire e apprezzare in età già piuttosto adulta, scrive in uno dei suoi romanzi (credo fosse in Tutte le anime, e sottolineo il contesto perché non saprei se, o in che misura, attribuire i pensieri che seguono al suo se stesso letterario o alle sue proprie convinzioni personali) che troppe persone vengono al mondo e poi se ne vanno senza aver lasciato alcuna traccia apprezzabile di sé, senza suscitare ricordi né rimpianti, quasi come se non fossero mai vissuti, in definitiva quasi come se delle loro vite non ne fosse valsa pena alcuna, pena che loro per primi non sono stati capaci di darsi. Pare quasi, il Marías, esprimere in asciutta inesorabile prosa lo sviluppo di una sintesi che così mirabilmente si leva alle volte fra i cori da stadio: ma che siete venuti affà?

Tempo fa, da qualche parte ma non saprei dire dove, se in un film o un libro, ho tratto e fatto mia questa affermazione: ciò che facciamo, nella nostra vita, non è altro che costruire ricordi. Dal momento che i ricordi riguardano spesso le persone con le quali abbiamo vissuto i momenti da ricordare, sarà in esse, oltre che in noi stessi, che tale patrimonio personale condiviso potrà sopravvivere.
Se invece si tratta di momenti vissuti da soli, e dunque di ricordi che conserviamo solo in (e per) noi stessi, questi svaniranno con noi. A meno che non li si affidi a qualche mezzo di conservazione e trasmissione, scrivendoli, raccontandoli, facendone, ancora una volta, condivisione e dunque patrimonio nostro e di altri.
E’ uno dei motivi, non l’unico ma forse il più importante insieme al diletto che ne traggo, per cui scrivo. Perché i miei ricordi di tutti quei momenti non vadano perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. Che poi i miei ricordi personali valgano la pena di essere tramandati ai posteri è altra questione, che per fortuna non tocca a me dirimere.


Le persone che si impegnano nel sociale, che profondono energie in missioni o battaglie di più o meno ampio respiro, sono senz’altro ammirevoli e va da sé che possano suscitare anche un senso di invidia misto a inadeguatezza, una sorta di confronto impari vissuto con gli occhi di chi è abituato a essere critico nei propri confronti, perché (ancora una volta) solo gli stupidi e gli incapaci si credono molto più in gamba di quanto non siano e sono per questo in grado di vendere se stessi con una faccia tosta (quella sì) invidiabile, mentre chi è meritevole è spesso anche fin troppo consapevole dei propri limiti e capita che per questo si sottovaluti.
Ma è stato osservato (non da me, da sociologi e analisti comportamentali) che chi si spende tanto per gli altri o per qualcosa di più grande lo fa a volte per cercare uno scopo che dentro di sé non è capace di darsi, o per mettere a tacere un proprio profondo senso di inadeguatezza e di disistima, o per lenire la propria sofferenza personale di qualsivoglia natura. Ciò non toglie che siano ugualmente persone meritevoli, ma le rende forse un po’ meno invidiabili, perché dubito che saremmo contenti di ritrovarci nei loro panni, pur sapendo quali e quante cose grandi potremmo forse fare rispetto a quelle che già facciamo.

E quali sono le cose grandi che già facciamo? Prendersi la migliore cura possibile di noi stessi e dei nostri cari. C’è forse un’attitudine, uno scopo, più nobile o meritevole? Forse sì, ma, ti dirò, poco me ne importa. La vita è già abbastanza difficile, ci mancherebbe pure che a fine giornata, dopo (fra le altre cose) essermi speso il giusto nel lavoro che mi serve per vivere, non mi sentissi appagato dall’aver fatto tutto ciò che mi sentivo in animo e in grado di fare per me stesso, la mia compagna, i miei cani. Anche per qualche altra persona cara, un amico, un parente, o chi per esso, d’accordo, ma mica tutti i giorni.
Non è affatto scontato, sapersi prendere cura quotidiana di questo piccolo ma prezioso perimetro. E’ una conquista giornaliera. Non ti conosco personalmente e poco anche come blogger viste le mie lunghe assenze in altre faccende affaccendato, ma per quel poco che ti conosco ho come l’impressione che tu sappia benissimo di cosa sto parlando.

A proposito di episodi da cercare col lanternino in cui senti di aver fatto la differenza. Anni fa rimasi colpito da un mio giovane ex collega che durante un’occasione conviviale, capitata parecchi anni dopo il periodo che ci aveva visti, per poche settimane appena, lavorare seduti a scrivanie attigue, mi aveva detto che ricordava molto bene il nostro pur breve rapporto professionale, perché, diceva, ero stato l’unico in quell’ufficio a non offrirgli soltanto un chiarimento o un suggerimento quando gliene serviva uno, ma a farlo mostrando di volergli insegnare qualcosa, di volergli trasmettere qualcosa. Ora, io so di essere bravo a insegnare e trasmettere ciò ho imparato a conoscere e a saper fare, è uno dei miei talenti, forse non innato ma appreso da giovane e affinato nel tempo.
Però non ricordavo affatto di essere stato così prodigo di consigli e attenzioni nei confronti di quel ragazzo che in tale successiva occasione da adulto mi stava tributando un così sentito riconoscimento. Mi ero comportato con lui, e per appena poche settimane, come ho sempre fatto e continuo a fare con tutti, o almeno credo. Eppure per lui era stata una cosa importante, sì da serbarne ancora il ricordo a distanza di tanto tempo e di venirmelo a raccontare, a me che non me lo sarei immaginato.

Tutto questo per dire: chissà di quanti episodi in cui inconsapevolmente abbiamo fatto per qualcuno una qualche differenza, piccola o grande che sia stata, non verremo mai a sapere. Mi piace pensare che possano essere molti di più di quanto (sottostimandoci) siamo portati a immaginare. E visto che sei una persona che scrive, riflette, si pone obiettivi, si sforza di perseguirli, si interroga, si confronta con se stessa e con gli altri, credo proprio che lo stesso possa valere anche per te.

Last but not least. Questa non è mia ma del mio analista, una persona squisita di garbo e saggezza non comuni: il senso della vita è viverla.

Buona vita dunque, e a presto!