Tag

, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

I bambini di Auschwitz fotografati dai soldati russi dopo la liberazione. Per i loro coetanei di oggi ricordare è anche un dovere civico (La Stampa)

I bambini di Auschwitz fotografati dai soldati russi dopo la liberazione. Per i loro coetanei di oggi ricordare è anche un dovere civico (La Stampa)

La Shoah si insegna a scuola: è didattica della dignità umana

Firmato a Cracovia il protocollo tra il ministero dell’Istruzione e le comunità ebraiche italiane. Formazione per gli insegnanti

L’articolo linkato qui sopra è apparso su La Stampa già da qualche giorno, ma mi sembra giusto riproporlo oggi, poiché, come tutti sanno (o dovrebbero sapere) questo è il Giorno della Memoria. E mi sembra una cosa buona che, quanto meno a livello di protocolli formali e dichiarazioni d’intenti, le istituzioni si preoccupino di educare le generazioni future al dovere civico della memoria; il dovere di ricordare gli abissi di crudeltà, a cui uomini e donne, molto più simili a ciascuno di noi di quanto vorremmo credere, in un passato non così remoto hanno contribuito in modo attivo.
E non mi riferisco agli aguzzini nazisti, ma a chi per connivenza, avidità, invidia di classe, bassezza morale o qualsivoglia altro motivo, ha venduto il proprio collega, amico, vicino.

Quello degli “italiani brava gente” è un altro mito da sfatare, così come le tante troppe tesi non solo negazioniste, ma più banalmente benaltriste, che reputo ancora più subdole poiché si radicano nel tessuto quotidiano al pari di opinioni innocue, come le chiacchiere da bar e le discussioni sul calcio nei programmi tv.

Il termine indica un’affermazione (tesi benaltrista) formulata nel mezzo o alla conclusione di una discussione, in opposizione sia all’individuazione di un problema sia di una soluzione allo stesso, sostenendo che i problemi sono ben altri. In questo modo l’autore si sottrae a ogni valutazione oggettiva delle posizioni e soluzioni altrui, pronunciando de facto un giudizio di inutilità su ogni risultato raggiunto nel campo, come sulla legittimità della discussione, rimandando sine die la questione.

Wikipedia

Ci avete fatto caso?
Quando un concetto, una ricorrenza o una notizia scomoda vengono messi in risalto dalle cronache, spuntano fuori, come funghi, coloro per i quali c’è sempre qualcosa di più importante a cui sarebbe doveroso prestare attenzione, sia per il passato che per il presente.
Al ricordo della Shoah vengono contrapposti i mancati richiami ai gulag sovietici e alle stragi dei Khmer Rossi. I discorsi sul genocidio sistematico del popolo ebraico, durante la Seconda Guerra Mondiale, scatenano come Unni i feroci detrattori dell’attuale politica estera dello Stato di Israele.
Fino ad arrivare a cose che in apparenza non c’entrano nulla con quanto sopra, come il dibattito in corso nelle aule parlamentari sull’approvazione della legge Cirinnà. In questi giorni circolano su internet affermazioni del tipo: “Abbiamo malati abbandonati nei corridoi, terremotati senza una casa, anziani senza una pensione… e la priorità del Governo è fare una legge sui matrimoni gay!”.

C’è sempre qualcosa di più importante di cui occuparsi, non è vero?
Come ad esempio, dimenticare che alla base della politica razziale nazista non c’è mai stata solo una questione ebraica, ma che tale politica riguardava tutti coloro che per il Reich rappresentavano un nemico dello stato o della purezza ariana, o alla meno peggio un’inutile bocca da sfamare: “vite di nessun valore”.
L’eugenetica nazista non è stata un’invenzione di Hitler e dei suoi sodali, ma si è sviluppata dalle tesi eugenetiche che nei primi decenni del ‘900 venivano considerate una vera scienza, anche da illustri studiosi che oggi riterremmo al di sopra di ogni sospetto, come ad esempio Konrad Lorenz. Sì, proprio il simpatico vecchietto con la sua ochetta Martina che lo seguiva passo passo, il padre dell’etologia moderna. Chi non ha mai letto almeno qualche brano de L’anello di Re Salomone? Da ragazzo, era una delle mie letture preferite.
Ebbene, sarà pur vero che solo gli stolti non cambiano mai idea, e qualche merito Lorenz se lo sarà di certo guadagnato, nel dopoguerra, tanto da meritarsi un premio Nobel. Ma andatevi a rileggere su Wikipedia cosa scriveva negli anni ’40, a proposito di “igiene razziale” ed “esseri umani moralmente inferiori”.

Fra questi ultimi, per i nazisti ma non solo per loro, giacché (come detto) le tesi eugenetiche erano condivise da studiosi a livello mondiale, figuravano anche gli omosessuali. Molti dei quali finirono nei campi di sterminio, insieme agli ebrei. E oggi, settant’anni dopo, noi italiani, fra gli ultimi in Europa e nel mondo, siamo ancora qui a discutere se e in quale misura sia giusto riconoscere agli omosessuali gli stessi diritti di cui gode la maggior parte della popolazione. Ancora stiamo a considerarli “diversi”, o nella migliore delle ipotesi, “fratelli che si sono persi” (Papa Bergoglio docet).

Come si vede, dunque, il problema della didattica della dignità umana è quanto mai attuale e non riguarda solo il passato, non soltanto un’appartenenza religiosa o etnica, ma aspetti molto più capillari e quotidiani di rispetto reciproco e convivenza, fra persone che vorrebbero dirsi civili. Perché il razzismo, i campanilismi tribali, il disprezzo e la paura nei confronti del diverso, del “non allineato” – sentimenti popolari senza i quali non sarebbero stati possibili non solo i lager nazisti ma, in epoca molto più vicina a noi, nemmeno quelli della ex Jugoslavia -, fanno ancora parte del nostro vissuto quotidiano, sono esalazioni venefiche che a tutt’oggi ammorbano l’aria che respiriamo.
E’ senz’altro buona cosa studiare di Stalin e di Pol Pot, sapere chi fossero, cos’hanno fatto e perché; è senza dubbio importante interrogarsi e formarsi un’opinione sulla questione palestinese e su quanto accade nella Striscia di Gaza e nei territori occupati militarmente da Israele.
Ma prima ancora, credo sia importante studiare e conoscere la nostra, di storia. Di noi italiani, presunta brava gente. Per ricordarci chi eravamo, chi siamo stati. E chi siamo ancora oggi. Non proprio tutti delle belle e raccomandabili persone, oserei dire.

Con tutto ciò, non sono così ingenuo da pensare che basti sottoscrivere un protocollo formativo, per cambiare le cose. Anzi, poiché – tramite vari amici insegnanti – ho un’idea abbastanza aggiornata e precisa delle difficoltà in cui si dibatte la scuola italiana, ritengo probabile che certe buone intenzioni rimarranno tali, cioè mere intenzioni. E se qualcosa in più si farà, e si insegnerà, sarà solo per la buona volontà di persone, per fortuna ce ne sono, che sanno ancora svolgere il proprio compito di educatori in modo responsabile, sopperendo alle inefficienze di un sistema mortificato da decenni di malgoverno.
Ma credo che mettere nero su bianco un principio sia già qualcosa di significativo. Anche se come sempre non mancheranno quanti si opporranno a prescindere, sostenendo che le cose importanti siano altre.