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© maurimarino 2013, per gentile concessione. https://www.flickr.com/photos/maurimarino/

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Resilienza.
Un termine di cui avevo studiato il significato a scuola, durante le lezioni di educazione tecnica, a proposito di metalli e altri materiali. E che da allora avevo del tutto dimenticato.
Fino a ieri, quando mi è balzato all’occhio dalle pagine di un quotidiano, sfogliato al bar mentre sorseggiavo un caffè.

Secondo il vocabolario Treccani, per quanto concerne la tecnologia dei materiali, la resilienza è “la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d’urto”, mentre, a proposito dei filati e dei tessuti, la resilienza è “l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale”.
Wikipedia precisa ulteriormente l’aspetto tecnologico, asserendo che “in ingegneria, la resilienza è la capacità di un materiale di assorbire energia di deformazione elastica”, capacità che può essere misurata anche con una prova di trazione, e oltre a ciò fornisce vari altri ambiti di significato, fra cui quello assunto in psicologia:

[…] la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. La persona resiliente reagisce con tolleranza alla sofferenza e, invece, di soccombere o lamentarsi con enfasi amplificando il problema, la sfida e trae forza dalla sua impresa direzionando le sue energie verso cambiamenti risolutivi e praticabili. […] Fattori protettivi per la resilienza sono individuali e familiari. Tra i primi un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia, unita alla competenza sociale e comunicativa, e l’autocontrollo.

Last but not least, l’Accademia della Crusca, in un’estesa dissertazione semantica e linguistica, osserva che nel corso del tempo l’aggettivo resiliente “ha indicato sia il rimbalzare di un oggetto, sia alcune caratteristiche interne legate all’elasticità dei corpi, come quella di assorbire l’energia di un urto contraendosi, o di riassumere la forma originaria una volta sottoposto a una deformazione.”

Insomma, riassumendo (e generalizzando): la resilienza è la capacità, basata sulla propria elasticità intrinseca, di resistere a un urto o a una trazione, se necessario deformandosi, ma senza rompersi, tornando poi allo stato e alla forma originari. Un concetto che si può estendere a un’attitudine caratteriale, e che attiene alla capacità di un individuo di assorbire l’impatto di eventi negativi, o di adattarvisi a seconda del caso, in definitiva di adattarsi ai cambiamenti, senza perdere – mi pare a questo punto di poter dire – ma anzi, mantenendo, la propria identità. Saper mutare rimanendo se stessi.

Come l’albero nella foto qui sopra, ad esempio, che non si capisce bene se sia cresciuto addossato a quell’enorme masso, o all’interno di una fenditura del medesimo. Sia come sia, è cresciuto e si è sviluppato in tutta la sua frondosa pienezza nonostante le difficoltà di base della propria condizione, a cui ha saputo adattarsi, modellandosi per superarle, e divenendo ciò che era destinato a diventare.

Resilienza mi pare quindi una bella parola, incoraggiante, nell’elastica mutevolezza e nel ritorno a se stessi che esprime. Direi che potrebbe essere la parola d’ordine per questo nuovo anno.

Il prossimo dicembre spero di ricordarmene, per poter valutare quanto nei mesi a venire avrò saputo essere, o meno, resiliente 🙂