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Suzuka, 08/10/2000. Podio del Gran Premio del Giappone di Formula 1: Michael Schumacher festeggia il primo posto e con esso il mondiale piloti appena conquistato con la Ferrari, in mezzo ai rivali Mika Hakkinen e David Coulthard della McLaren Mercedes
Immagino che a qualcuno potrebbe venire spontaneo domandarmi: perché hai scelto di intitolare un post, che apri con una foto di Michael Schumacher, come il secondo episodio di Evangelion?
Ho almeno un paio di buone risposte.
La prima è facile: entrambe le storie si svolgono in Giappone.
La seconda è più personale: proprio come Shinji, anch’io quel giorno aprii gli occhi su un soffitto sconosciuto. Solo, non ero reduce da un combattimento con un Angelo, ma da un genere di confronto molto più piacevole 🙂
Il mattino dell’otto ottobre del Duemila mi svegliai in una stanza d’albergo in una città che non era la mia, a qualche centinaio di chilometri da casa.
A qualche migliaio di chilometri, sul circuito di Suzuka in Giappone, non lontano da Nagoya, era in corso il penultimo gran premio di Formula 1 della stagione. Una gara importante quant’altre mai, perché avrebbe potuto assegnare il titolo mondiale a un pilota della Ferrari dopo 21 anni dall’ultimo alloro iridato; conquistato dal sudafricano Jody Scheckter nel ’79, che è come dire nel Pleistocene. Io ero tifoso della Rossa fin da bambino, da quando cioè, in terza o quarta elementare, scelsi in cartoleria il diario scolastico di Gilles Villeneuve, e rimasi colpito nel leggere delle sue imprese leggendarie e del suo tragico destino.
Per un discreto arco di tempo, dai miei 15 ai 35 anni circa, non mi sarei perso un solo gran premio, trascorrendo un’ampia fetta iniziale di quel novero di annate nella vana speranza di vedere, prima o poi, una monoposto Ferrari tagliare il traguardo al comando. Berger, Alesi, Mansell e Prost portarono a Maranello competenza e simpatia, oltre a belle speranze e poco più, appena una manciata di vittorie che sembravano quasi un’eccezione alla regola.
Poi arrivò Schumi e la musica cambiò in meglio.
Il tedesco non era un campione di simpatia, niente a che vedere, ad esempio, con il suo compagno di squadra Eddie Irvine. Ma il suo compito non era di suscitare simpatia. Era di vincere. E in quello, non aveva rivali.
Forse, anzi senza forse, ne avrebbe avuto uno degno in Ayrton Senna.
Ma sappiamo bene, purtroppo, perché quel confronto non fu mai possibile.
Nel ’99 Fu proprio Irvine a illudere i ferraristi che il momento di gloria si fosse deciso a sorridere loro, rimanendo in corsa per il titolo fino all’ultima gara della stagione, che guarda caso quell’anno era proprio il GP di Suzuka. L’inglese era spalleggiato da uno Schumacher rimasto fuori dai giochi a lungo a causa di un incidente, sostituito da Mika Salo (°) e rientrato solo nelle ultime gare, col dichiarato scopo di dare una mano al proprio compagno di scuderia nella corsa al titolo. Anche in occasione di quell’ultimo e decisivo GP del ’99, neanche a farlo apposta, mi trovavo in una stanza d’albergo a centinaia di chilometri da casa, per la precisione a Firenze. Si vede che era destino. E, insieme all’amico che era in viaggio con me, rimasi sveglio per tutta la durata della gara, nonostante il mattino dopo avessimo un treno da prendere alle 8. Gara che finì con una delusione, terzo posto finale per Irvine e mondiale sfumato per soli due punti a vantaggio di Hakkinen.
L’anno dopo, nel 2000, sempre a Suzuka, andò molto meglio. Sia perché si vinse, e fu grande festa. Ma anche perché, non me ne voglia l’amico che si trovava con me nell’occasione precedente, in quel secondo caso la compagnia fu di natura, diciamo così, più accattivante 🙂
In quel giorno storico, dunque, l’otto ottobre Duemila, mi svegliai al mattino presto sotto quel soffitto sconosciuto, e accesi la piccola tv sulla mensola di fianco al letto, alla mia sinistra, tenendo il volume appena udibile, per non svegliare la mia compagna di stanza. Mancavano meno di 10 giri al termine, e Schumacher era in testa, alle sue spalle solo un lungo nastro di asfalto deserto. Rimasi a seguire l’esito del Gran Premio della vita stando coricato, la testa voltata di lato sul cuscino, verso lo schermo. Alla fine, quando vidi Schumi tagliare il traguardo e impazzire di gioia insieme allo staff del Cavallino e a milioni di tifosi, mi si inumidirono gli occhi dalla felicità, e non trattenni qualche lacrima, per quell’attesa lunga 21 anni finalmente soddisfatta.
A quel punto, la ragazza che dormiva al mio fianco (o, meglio, che credevo dormisse) mi sorprese stampandomi un bacio – mi raccontò dopo che era già sveglia da un po’, e si era commossa vedendomi commuovere – e fattasi sopra di me mi disse: “ora spegni, e festeggiamo!”.
Io spensi la tv, e per festeggiare, festeggiammo eccome!
Niente colazione per noi, quel giorno. Passammo direttamente al pranzo 😀
Potete ben capire, il perché conservi un così vivido (nonché caro) ricordo, del primo dei cinque mondiali piloti vinti da Schumacher con la Ferrari.
Mi è tornato in mente domenica scorsa, giorno in cui, a parte ricorrere il compleanno del mio Capitano infinito, sul circuito di Suzuka si è corso il Gran Premio del Giappone. Ho ripensato a Michael Schumacher, e alla condizione in cui si trova ora. Chissà se anche il soffitto di casa sua ora gli appare sconosciuto, da quel letto di dolore in cui si trova. Povero Schumi.
Se mi si inumidisce il ciglio, ora mentre ne scrivo e penso a lui, non è certo per l’emozione di ricordare i suoi trionfi. Mi auguro che conservi quel briciolo di coscienza sufficiente a riconosce i suoi cari, a godere della loro compagnia e del calore della propria casa. Ma che non si renda conto di nient’altro, né della sua condizione poco più che vegetale, né ricordi chi è stato, chi nel cuore e nella memoria dei suoi ammiratori sarà per sempre.
Io preferisco ricordarlo come nella foto qui sopra, fresco di titolo mondiale, il terzo personale dopo i primi due con la Benetton. Felice come un bambino, a scimmiottare un direttore d’orchestra improvvisato durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli.
Ecco due contributi filmati che ripercorrono la storia di quella gara, e il momento della premiazione:
E la ragazza che era con me quel giorno, la mia compagna di festeggiamenti? Immagino sarete curiosi di sapere che fine abbia fatto.
Beh, ecco, quella fra me e lei era una storia che definire complicata sarebbe un’eufemismo, tant’è vero che da quella domenica non ci vedemmo mai più. Però saremmo rimasti in contatto, via telefono e sms.
Ogni tanto ci riproviamo, a risentirci e cercare di essere buoni amici, ma finiamo sempre per litigare di brutto e interrompere ogni rapporto per qualche mese o anno. So che, non molto tempo fa, si è sposata col suo compagno di una vita, che ha conosciuto poco dopo di me; non gliel’ho detto, ma l’ho cercata su un social network, dove ha pubblicato una foto del giorno delle nozze che la ritrae insieme a suo marito. E’ stato bello rivederla, in tutti questi anni non è cambiata affatto. Sembra felice, sembrano entrambi felici ed emozionati. Lui ha quell’aspetto da persona per bene che ti suscita subito simpatia. Sono contento per lei. Per loro.
Quasi quasi, le mando un sms con il link a questo post, giusto per farle sapere che ho raccontato di quel nostro ultimo giorno insieme.
Così magari finisce che ci risentiamo, e litighiamo di nuovo un po’. Come ai vecchi tempi.
Ma anche no 😉
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(°) Che con un pilota del calibro di Hakkinen aveva in comune solo due cose: il nome e la nazionalità finlandese. E non avrebbe lasciato ricordi degni di nota, a parte le immagini della splendida moglie Noriko.
Povero Shumi, chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe ritrovato così? Che poi avrebbe potuto capitargli ogni sorta d’incidenti pilotando i bolidi alla Formula 1 e invece è andato ad inciampare in un sasso mentre sciava. E’ proprio strana la vita e, spesso, impietosa.
Bello questo tuo racconto, che associa anche un momento di vita personale. Chissà, sicuramente quella ragazza sarebbe felice di risentirti e leggerti…magari il marito un po’ meno, eheheheheh! 😉
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Eh sì, povero Michael. Nessuno si merita un destino simile, che sia giovane o vecchio, campione o uomo qualunque, famoso o sconosciuto. Da un lato, conforta sapere che con tutto ciò che ha guadagnato in carriera, starà senz’altro ricevendo le migliori cure possibili al mondo. Dall’altro, è crudele avere la consapevolezza che niente potrà restituirgli la sua vita di prima dell’incidente, forse nemmeno una parvenza. E’ davvero triste.
Se non altro, quando cose simili capitano a persone così note ad un pubblico mondiale, per un po’ di tempo si accende un faro su un genere di situazioni che coinvolgono molti sfortunati, comprese le loro famiglie, costrette a vivere nell’ombra la propria sofferenza, e per i quali un adeguato supporto economico e pratico, oltre a semplice sostegno e solidarietà umana, non sono mai abbastanza. Ho scoperto cosa significhino certi drammatici eventi dopo quanto è successo a mia madre, che per fortuna non è costretta nelle condizioni di Schumacher, ma ha comunque perso la propria autosufficienza. Il servizio sanitario nazionale copre al massimo due mesi in strutture di recupero attrezzate di tutto punto, dopodiché sei solo. E o ti sei ripreso, dunque meglio per te, oppure fanno 200 euro al giorno, si accettano assegni, grazie. Ti pare possibile? A parte che tu sai meglio di me cosa voglia dire. La realtà, per le persone comuni, è questa. Quanto meno in Piemonte, visto che la sanità è gestita dalle Regioni. Ignoro come siamo messe le altre 19, ma dubito che se la passino molto meglio.
Quanto al racconto di vita vissuta, beh, te lo avevo anticipato in un precedente commento, non mi sono fatto aspettare molto 🙂
Credo anch’io, anzi, lo so, che a quella ragazza farebbe piacere risentirmi, e chissà, magari ha già letto questo post. Ma penso che sia meglio per tutti se il passato rimanga tale. Anche perché so che suo marito fa il cacciatore, e non vorrei diventare una sua preda solo per il gusto di rievocare una liaison di 15 anni fa! 😀
Dubito che i miei rudimenti di scherma medievale mi basterebbero per trarmi d’impaccio. Parafrasando Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”, se un uomo con la spada incontra un uomo con il fucile, l’uomo con la spada è un uomo morto!
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Ahahahaah! Concordo anch’io sul fatto che, finchè andrai in giro con la spada, ti convenga non incontrare un cacciatore! 🙂
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Che bella, affettuosa Canaglia che sei. Mi sono commossa (giuro)
Questo racconto di sport, vita e sofferenza mi ha da un lato, i sono intenerita per te, la fanciulla e la Ferrarri, dall’ altro, pensado allo sfortunato Schumi, la tristezza mi ha toccata. Grazie, Amico
Un grande abbraccio da Mistral
PS:nella vita la fatalità la fa da padrone e le attenzioni servono a poco se il destino ha già deciso
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Cara Amica, anch’io mi commuovo nel risentirti vivace e partecipe nel nostro piccolo mondo virtuale, vuol dire che anche in quello reale ci stiamo attrezzando per superare le spigolosità del tempo, dello spazio e dei… cattivi incontri 🙂
Condivido le tue sensazioni, che sono anche le mie. Ripensando a Schumacher non posso ignorare la sofferenza sua e della sua famiglia in questo momento, ma è bello ricordare ciò che ha saputo fare, e dare, per se stesso e per milioni di appassionati.
Non è l’unico ricordo che ho di lui, e dei suoi trionfi in rosso Ferrari, che mi abbia visto al contempo in una qualche relazione “complicata”. Sembra quasi una costante, nella mia vita, questo incrocio di eventi sportivi e di corrispondenze di amorosi sensi con una fanciulla (anche se le corrispondenze vere e proprie, in senso letterale, sono state poche), come è capitato ad esempio per il giorno dell’esordio di Totti, di cui ho scritto un paio di domeniche fa.
Questo che ho raccontato, di Schumi, è stato il primo, e il più clamoroso.
Per gli altri, vedremo. Non vorrei farmi una fama di bad boy e bruciarmi il terreno sotto i piedi da solo, visto che, come si suol dire, sono su piazza 😉
Concordo sulle insidie imprevedibili della fatalità, siamo appesi un filo, lo sappiamo, per fortuna non ci pensiamo ogni singolo istante sennò impazziremmo. Però non credo al destino, alla predeterminazione. Anche qui, voglio rispettare l’accostamento duale del mio post, iniziando dall’aspetto sentimentale. Secondo la fisica quantistica, in teoria, è possibile che il verificarsi di un evento scateni la genesi di tante realtà parallele quanti sono le possibili varianti dell’evento stesso. Mi piace credere che in altri universi, in questo medesimo istante, Schumi sia lì nella propria residenza svizzera che guarda fuori dalla finestra la neve caduta in questi giorni sulle montagne, e chiami a raccolta i propri figli per scendere in garage ad affilare le lamine degli sci, pregustando imminenti belle giornate sulla neve con tutta la famiglia.
Per l’aspetto scanzonato invece, non con riferimento a Schumacher ma sempre in tema di destino, mi è venuta in mente una chicca di Douglas Adams, scrittore che adoro per la totale geniale follia delle sue opere di fantascienza comica, e che giusto in questi giorni mi ha ispirato il mio ultimo post su Hazen Mavi (se non lo conosci, te lo consiglio vivamente; Adams, intendo… ma anche l’altro mio blog, via 😉 ).
La sua pentalogia che inizia con “Guida galattica per gli autostoppisti” è arguta e spassosissima; e oltre a ciò, il quarto libro della serie contiene una delle più belle storie d’amore che abbia mai letto.
La prima pagina del quinto libro, invece, recita cosi:
“Qualunque cosa che accade, accade”
“Qualunque cosa che, accadendo, ne fa accadere un’altra, ne fa accadere un’altra.”
“Qualunque cosa che, accadendo, induce se stessa a riaccadere, riaccade.”
“Però non è detto che lo faccia in ordine cronologico.”
Un sentito abbraccio, carissima Mistral, e a presto!
Dario
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