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Questo non è uno dei miei consueti post.
In primo luogo, perché non è un post, ma un vero e proprio articolo, di oltre 4000 parole. In secondo luogo, perché è una cosa che non ho scritto adesso, ma 14 anni fa, a corredo di una tesina per un’amica che frequentava l’Accademia di Belle Arti.
In terzo luogo, ultimo ma più importante di tutti, perché pur sotto forma di commento a un’opera di fantasia (che, come leggerete, di fantasia purtroppo ne contiene ben poca) costituisce un tributo. Alla memoria.
INTRO
UNA STORIA COME UN’ALTRA (?)
E’ lecito supporre che chiunque entri in un’edicola con l’intento di comprare un albo a fumetti, e si appresti più tardi a leggerlo, in cuor suo sia pienamente consapevole (e forse anche desideroso) di accostarsi ad un’opera di pura invenzione, qualunque sia l’argomento trattato o il contesto più o meno realistico in cui si svolga l’intreccio.
Supposizione che è possibile estendere ai lettori di fumetti di qualunque età, dal ragazzino o adolescente in cerca di avventura ed eroismo ben raccontati, allo studente universitario che per staccare ogni tanto la spina ami immergersi negli ampi orizzonti della fantasia disegnata; dal collezionista trentenne appassionato a tal nobile forma (non di rado ingiustamente sottovalutata) di arte “sequenziale”, al maturo padre di famiglia che da cinquant’anni a questa parte abbia mantenuto un affettuoso legame con quel mondo di immutabili, confortevoli orizzonti (e granitici valori) che sin dal ‘48 vede all’opera, infaticabili, il grande Tex Willer e i suoi pards.
Fingiamo, per qualche istante, che sia possibile allargare ulteriormente la nostra supposizione iniziale all’albo che è raffigurato qui sopra; ammettiamo (anche se è francamente improbabile, per non dire impossibile) che a prima vista la data stampata in calce sul frontespizio non ci suggerisca nulla di particolare, e che ai nostri occhi appaia, per l’appunto, solo un titolo come un altro.
Ciò premesso, al solo scopo di creare per un momento il necessario distacco emotivo, iniziamo ad annotare gli aspetti e i contenuti di questo albo che più ci risultino evidenti.
Le prime due cose che non possono mancare di colpirci sono la totale mancanza di immagini sulla copertina, che ci propone giusto il titolo e il logo della testata; e il colore della stessa, interamente nera. Due particolari decisamente insoliti per un albo a fumetti, specialmente per quelli provenienti dagli States, per i quali le copertine con disegni accattivanti e magnificamente colorati sono un marchio di fabbrica, e vengono realizzate con una cura anche maggiore di quella riservata alle pagine interne. Pur ammettendo di non aver alcuna idea di cosa parli la storia che ci apprestiamo a leggere, non è necessario essere dotati di particolare intuito per comprendere come una tale scelta grafica possa esprimere solo una cosa: un segno, profondo, di lutto. Come se non bastasse, sul retro (la cosiddetta “quarta” di copertina) troviamo un’immagine di quello che (riteniamo) dovrebbe essere l’eroe di questo fumetto, il nostro vecchio amico Uomo Ragno (di cui probabilmente tutti, da bambini, abbiamo letto qualche avventura, proprio come leggevamo quelle di Tex o di Topolino) ritratto in una posa di enorme prostrazione.
Ci soffermiamo su questa figura dell’eroe in ginocchio, notandone i particolari (il capo chino, in ombra; le braccia inerti lungo i fianchi; le ragnatele – le sue stesse ragnatele – che ne avvolgono i polsi e sembrano inchiodare l’intera figura a terra), cercando di coglierne il significato, lo stato d’animo del personaggio, quale attraverso questi dettagli l’artista ha cercato di esprimere. L’Uomo Ragno appare come abbattuto dal peso di un enorme dolore, che lo ha colpito nel profondo; la posa in cui è ritratto ce lo mostra raccolto su se stesso, muto, sconsolato. Più che disperazione, la sua figura esprime sconforto, uno sconforto lacerante e totale.
E’ l’immagine di qualcuno che non ha più la minima forza di reagire, né lacrime per piangere; che non ha più voce, né parole per esprimere qualcosa troppo più grande di lui.
Egli è vinto, svuotato, incatenato al suolo. Le ragnatele che ne vincolano le braccia e simbolicamente l’intera figura suggeriscono bene l’idea di un tale, assoluto dolore; in un certo senso paiono quasi gli strumenti di una crocifissione.
Ma non solo. L’eroe è del tutto inerte; e le sua ragnatele, nello stesso momento in cui mostrano di incatenarlo, sono probabilmente la sola cosa che lo trattengono dal cadere in avanti, prono, come senza più vita, quasi come se lui stesso non riuscisse più a credere (o anche volendo non potesse) che da qualche parte dentro di sé sia ancora possibile trovare la forza per rialzarsi…
Ed ecco che, nell’immaginare tutto questo, viene spontaneo, se non obbligatorio, abbandonare il nostro ingenuo candore, e iniziare a supporre che quella raccontata in questo albo non sia propriamente una storia come un’altra. Forse perché è vera.
REALTA’ E FINZIONE
Vera?
Vera una storia raccontata per mezzo di un fumetto?
Vera una storia dove il protagonista è l’Uomo Ragno e dove compaiono, come avremo modo di vedere, numerosi altri strani personaggi all’apparenza super-forti e con indosso bizzarri costumi?
Certo.
In primo luogo, questa storia è vera perché è vero (terribilmente vero) il preciso contesto in cui quei personaggi si muovono, all’interno di questo albo. E assolutamente vere sono le persone che in tale contesto vediamo operare; non le singole persone in sé, ma le categorie di persone rappresentate attraverso le figure dedicate a ciascuna di loro, delineate con tratti semplici, solo apparentemente banali (o “da fumetto”, come a qualcuno potrebbe venire in mente di osservare), invero estremamente efficaci.
Figure, e persone, che sono i reali protagonisti di questa storia, dal momento che l’Uomo Ragno e gli altri strani tizi in costume non sono che dei testimoni: voce narrante, l’uno, e semplici punti di riferimento per i lettori, gli altri, il cui scopo è quello di condurre gli abituali od occasionali appassionati dei fumetti a stelle e strisce, attraverso le immagini, nei momenti successivi ad un terrificante fatto di cronaca, rappresentate con grande sensibilità e realismo (ma senza concedere nulla alla ricerca di effetti spettacolari, o quant’altro di puramente artistico che di solito possa far parte di una storia a fumetti, e che qui parrebbe davvero stucchevole, fine a se stesso); e dove lo spazio dedicato alla finzione narrativa è solo il minimo indispensabile per consentire a tali figure di apparire inserite nella scena, e offrire così la loro silenziosa testimonianza.
Vere, infine, nel senso di autentiche, sono le emozioni, il senso di partecipazione al dolore qui espressi, attraverso i volti di quelle figure, dei personaggi di pura invenzione come di quelli (la maggior parte) delle tante persone comuni che popolano questo albo: vigili del fuoco, agenti di polizia, volontari delle squadre di soccorso, impiegati di banca, uomini e donne qualsiasi sorpresi in un mattino qualsiasi dallo scatenarsi improvviso di una tragedia inimmaginabile, poiché concepita da menti criminali del tutto prive di umanità e di senno.
Il dolore e lo sgomento di quei volti raffigurati sulla carta patinata di un fumetto sono una rappresentazione del nostro stesso dolore, del nostro sgomento di fronte alle immagini terribili di quell’undici settembre, ancor più spaventose perché subito amplificate dal circuito mediatico, giunte in ogni casa bar o ufficio in diretta Tv, quasi come una crudele nemesi, da parte della realtà, nei confronti delle innumerevoli scene di violenza che siamo abituati da così tanto tempo, a veder scorrere sullo schermo, da non farci nemmeno più caso. Questa volta, invece, era tutto vero, assurdamente reale. Anche se non potevamo crederci, non avremmo mai voluto doverci credere, non avremmo mai nemmeno pensato un giorno di doverlo fare.
Già da un po’, com’è ovvio, non possiamo più fingere di non sapere che tipo di storia sia contenuta in questo albo, perché la copertina sia listata a lutto e quale immenso dolore sia a causa di un così abissale sconforto come quello rappresentato dall’immagine dell’Uomo Ragno, di cui parlavamo prima. Il nostro era solo un artifizio, naturalmente, per provare ad immaginare cosa avremmo pensato di fronte a questo albo se fossimo stati del tutto ignari di ogni riferimento o fatto reale in esso contenuto.
Ma è chiaro che non siamo stati in grado di fingere a lungo.
Perché di fronte alla Tv, in quel giorno maledetto e in quelli successivi, c’eravamo anche noi. Abbiamo rivisto decine e decine di volte gli aerei piombare sulle due torri ed esplodere, le fiamme altissime, il volo dei corpi che cadevano giù, il fumo delle torri che collassavano, una dopo l’altra…
E fin dalla prima pagina di questo albo non possiamo nemmeno immaginare di fingere che si stia per leggere una storia di pura invenzione.
Perché il senso di assoluta impotenza ed annichilimento che cogliamo nella figura dell’Uomo Ragno, prostrata dal dolore, ci è familiare; quel senso è stato, ed è, anche il nostro, facendo scorrere la memoria su quelle immagini apocalittiche. E non troviamo nulla di strano che dei personaggi di fantasia, degli eroi di carta, si mischino alle tante figure di persone comuni che rappresentano il dolore reale della gente di New York (e idealmente del mondo intero) in questo albo.
Come genuina espressione dei sentimenti dei loro autori (sceneggiatori, disegnatori, inchiostratori, coloristi, letteristi, editori) e dei lettori che da tempo vi si sono affezionati, troviamo che sia un fatto perfettamente naturale. Quasi scontato.
Null’altro che un sentito (e commosso) tributo: alle vittime, e agli eroi civili, del World Trade Center di Manhattan, New York City, USA, azzerato dalla follia omicida di un’azione terroristica tanto clamorosa quanto vile, la mattina dell’11 settembre 2001, insieme alla vita di oltre 2500 persone innocenti.
In ultima analisi, il significato della presenza dell’Uomo Ragno e degli altri suoi simili nel contesto di un tale tributo viene espresso in maniera semplice ed efficace da Marco M. Lupoi, che nella propria introduzione all’albo scrive:
Sulla rappresentazione di questa realtà, l’Uomo Ragno e gli altri eroi Marvel appaiono in sovrimpressione, come delle fantasie, degli ideali. Sono al fianco dei poliziotti e dei soccorritori, più come un incoraggiamento all’eroismo che come persone vere. Sono come ombre, che con pudore si insinuano tra le macerie, e osservano e piangono insieme a noi lettori e a tutte le persone con un’anima su questa terra.
UN ALBO A FUMETTI PER ESPRIMERE UN SENTIMENTO COMUNE
CONSIDERAZIONI
E’ probabile che alcune persone (qualcuno che non ami particolarmente, o non conosca del tutto, il mondo dei fumetti, ritenendolo un prodotto di basso profilo, “roba da bambini”), venute a conoscenza dell’iniziativa editoriale che ha portato alla pubblicazione di questo albo, e magari trovandoselo di fronte presso l’edicola sotto casa, abbiano nutrito una certa perplessità, se non addirittura un senso di fastidio.
A che scopo, si saranno domandate queste persone, aggiungere un altro contributo, da una voce che certo esse non potranno giudicare autorevole, in merito a fatti così ampiamente analizzati, raccontati, riproposti con ben altri e più alti mezzi?
A che scopo accostare avvenimenti tanto crudelmente noti e dolorosi all’immaginazione e ai personaggi inverosimili e bizzarri che popolano i comics supereroistici americani?
Si spera che almeno qualcuna, fra queste persone, abbia avuto modo di ricredersi, vincendo le proprie reticenze e leggendo la storia contenuta in questo albo; potendone apprezzare, così, la sensibilità con cui la stessa è stata concepita e raccontata dagli autori, il tono commosso e partecipe, allo stesso tempo equilibrato e composto, con cui si è voluto rendere omaggio alle vittime della strage e a coloro che hanno perso la propria vita nel tentativo di salvarne altre.
I lettori abituali non avevano certo bisogno di questo albo, per scoprire di quanta profondità sceneggiatori ed autori di fumetti in generale siano capaci, nell’affrontare tematiche di così concreta e stringente attualità.
E certamente non hanno avuto le stesse perplessità, quanto meno sul “perché” di una tale iniziativa; qualcuna, molto timida, poteva forse prudentemente essere avanzata, semmai, sul “come” gli autori fossero riusciti a realizzarla. Riteniamo che il risultato sia evidente, limpido.
Le motivazioni che hanno spinto gli autori della Marvel a realizzare quest’opera, l’ampia eco, l’attenzione e i riconoscimenti che la stessa ha suscitato negli States, sono già state adeguatamente discussi dal sopra citato Lupoi, da Antonio Martin e da Massimiliano Brighel, nei loro rispettivi articoli di corredo alla pubblicazione italiana, così come le note biografiche degli autori (Joseph Michael Straczynski, sceneggiatura; John Romita jr, disegni).
Ai loro esaurienti contributi non riteniamo necessario aggiungere altro (°).
Non ci rimane quindi che sfogliare ancora una volta le pagine di questo albo, soffermandoci sulle scene e i dettagli maggiormente significativi. Con una sola ulteriore premessa.
Come ogni prodotto narrativo di un certo spessore, la storia qui contenuta è stata raccontata, e si presta ad essere letta, secondo diversi piani di approfondimento.
Ovviamente non è necessario, ai fini di una efficace comprensione della storia stessa, avere chiari in mente i profili e la psicologia di tutti i personaggi di invenzione che vi compaiono, specie per quanti non li conoscano o non ne leggano abitualmente le vicende. Le immagini qui rappresentate (purtroppo) si commentano da sole, riuscendo chiare e dirette per qualunque tipologia di lettore.
COMMENTI
Come si può notare, lo Speciale 11 Settembre 2001 è stato realizzato con grande cura, sia per quanto riguarda l’insieme, sia per i più piccoli dettagli. D’altronde, Le produzioni a fumetti della Marvel, specialmente dalla seconda metà degli anni ’90 ad oggi, hanno abituato i lettori ad un ottimo livello di qualità complessiva (storie, disegni, colori); anche se, in questo caso, è lecito supporre che l’attenzione sia stata ancora maggiore.
Il monologo che Straczynski ha ideato per l’Uomo Ragno si snoda quasi in un sussurro, a sottolineare immagini che già di per sé non necessitano di commento alcuno; niente retorica a buon mercato o facili sentimentalismi, giusto un accenno di incitamento patriottico e civile, in crescendo, nel finale.
Ma non dimentichiamo che si tratta di un albo scritto da un cittadino statunitense, che a New York, fra le altre cose, ha tanti amici e collaboratori che lavorano negli uffici della Marvel, non distanti da Ground Zero; le sue parole sono in primo luogo per loro, e poi per tutti gli abitanti di una città – e di una Nazione – così duramente colpiti, negli affetti come nell’immaginario collettivo.
Ed è un albo disegnato da un artista che, a New York, è nato; lo stile di John Romita jr, preciso e pulito e immediatamente riconoscibile (e che forse, in altre occasioni, deliziati dalla squisita raffinatezza cui ci hanno abituato altre firme, abbiamo considerato un po’ troppo semplicistico, un po’ troppo “da cartoon”), si dimostra nell’occasione estremamente duttile ed efficace, quanto mai adeguato a ritrarre con sguardo limpido, non offuscato da visioni gotiche o da intenti spettacolari, situazioni tanto drammatiche; nonché atteggiamenti umani, stati d’animo e sentimenti, che per quanto chiari, si intuiscono appena, affiorano quasi con pudore, sono al limite dell’inesprimibile. Niente costumi sgargianti (anche i colori di quelli di ordinanza dei personaggi che li indossano sembrano smorzati, mentre gli X-Men sono in abiti civili), niente muscolature scolpite o ipertrofiche. Solo persone.
Anche i coloristi (lo Studio Avalon e Dan Kemp) hanno svolto un ottimo lavoro. Niente colori accesi o squillanti, ma tinte molto sfumate, con un ottimo dosaggio della luce, giusto il minimo indispensabile per rischiarare la scena sulfurea da inferno dantesco che si presenta ai soccorritori.
Emblematica, a questo proposito, la tavola in cui l’Uomo Ragno supera la cortina di fumo e si ritrova impietrito di fronte a quel che resta delle Torri, mentre di fronte a lui le squadre di soccorso e alcuni supereroi sono già al lavoro per rimuovere le macerie e cercare di trarre in salvo eventuali sopravvissuti: a parte l’Uomo Ragno – in primo piano, di spalle – tutte le figure che si muovono sulla scena, in profondità, sono del medesimo colore grigio-azzurro; il colore della cenere, della polvere, del fumo che oscura il cielo di New York, e che ricopre la zona devastata come le coltri di un sudario.
Ma anche un modo, riteniamo, per simboleggiare il senso di solidarietà e di uguaglianza che unisce tutti quanti si trovino sul posto, la fratellanza spontanea che accomuna gli individui di fronte a un dolore assurdo e alla speranza di poter ancora fare qualcosa, di poter salvare almeno qualcuno. Tutti uguali, poliziotti, infermieri, vigili del fuoco, uomini comuni, mutanti, indefinibili “cose”, dei asgardiani, eroi nazionali, uniti fra loro nel momento assoluto del bisogno, dell’estremo soccorso, della pietà e del dolore.
E l’Uomo Ragno? Compare sul tetto di un edificio, attirato dal fumo e dal rumore delle sirene, nella prima tavola a doppia pagina. Un disegno davvero di grande impatto, dai dettagli rigorosi e privi di ogni orpello o intento spettacolare, che fornisce con immediata evidenza le dimensioni della tragedia.
Nelle tavole successive lo vediamo calarsi a terra e avanzare tra le volute di fumo, sbigottito, senza sapere cosa dire o fare, mentre sulle lenti opacizzate della sua maschera si scorgono i riflessi delle fiamme (un preciso ed eccellente lavoro dei coloristi, la sottolineatura è doverosa: anche se, da parte degli staff addetti, l’uso quasi esclusivo di tecniche computerizzate è ormai la norma – anche per esigenze pratiche, naturalmente, per velocizzare il lavoro -, nessun algoritmo, per quanto sofisticato possa essere, potrà mai dare un grado di sensibilità cromatica maggiore di quello che si scorge in quelle lenti).
Subito dopo, l’Uomo Ragno si immerge nella cortina di fumo, e quando la supera si ritrova davanti l’inferno, nella scena che abbiamo descritto sopra; di fronte a lui, al lavoro fra le macerie, fra i soccorritori si scorgono la Cosa, Thor e Cap.
Le due tavole successive sono i momenti che occorrono a Spidey per farsi un quadro della situazione, e superare lo shock che lo tiene immobile; vediamo Thor, un dio norreno, postosi in umili e operose vesti (significativo il dettaglio che sia a capo scoperto, privo del consueto elmetto alato) e con il potente Mjolnir appeso alla cintura – inutile la sua forza devastante e distruttiva, in quel frangente, in cui occorre lavorare a mano per evitare di schiacciare quanti, ancora vivi, possano trovarsi sepolti sotto i detriti – prendere indicazioni da un fireman, mentre, lì vicino, Cap lavora per tre.
Più sotto, scorgiamo Devil che aiuta a portare in salvo un ferito, mentre la Cosa sostiene un enorme travatura perché i soccorritori possano passare.
E l’Uomo Ragno vorrebbe rincuorare le tante persone comuni che come lui, in quel momento, sono atterriti dal dolore e dall’angoscia (“siamo qui con voi, non potete vederci per via della polvere, ma ci siamo; non potete sentirci per via delle grida, ma ci siamo”), quasi come se lui e gli altri supereroi, in quegli istanti di tragica verità, divenissero consapevoli di essere solo dei personaggi di carta e, dimenticando per un attimo l’implicito compromesso che li lega ai lettori, mortificati volessero chiedere scusa agli uomini, per questa loro debolezza, a quanti credono e confidano nel loro valore, e a cui idealmente offrono il proprio conforto morale, il proprio partecipato dolore.
E finalmente, in un’altra tavola a doppia pagina estremamente espressiva, anche lui si unisce alle squadre di soccorso, coadiuvate da due degli X-Men. Si ribadisce in questa tavola, e a caratteri cubitali, quanto evidenziato prima: non ci sono più differenze fra gli individui, nessuno ha più orrore della Cosa, ammirazione estatica per Thor, paura degli artigli di Wolverine e del raggio ottico di Ciclope.
Nei momenti dove davvero il senso di umana solidarietà, da parte di ciascuno, conti qualcosa, le divisioni capziose, i timori ancestrali o razzisti vengono superati, dimenticati. Come dovrebbe essere sempre, non solo di fronte ad una tragedia.
Ma è già qualcosa.
Questo senso di comune umanità, di uguaglianza, si avverte ancora più avanti, con la scena straziante del bambino che vede il proprio padre esanime portato fuori dalle macerie, mentre l’Uomo Ragno non sa e non può fare altro che stringersi a lui, con forza.
E, poco oltre, ci vengono proposte immagini “comuni” che di rado vediamo in un fumetto, in cui compare sempre Spidey, ma in modo insolito: in un momento di pausa, si è sollevato la maschera all’altezza del naso per potersi dissetare, e il viso di Peter Parker appare smunto, con la barba lunga; la sensazione che se ne trae è quella di un uomo fortemente provato, che a parte il costume non ha più alcuna parvenza di un eroe, non più di quanto lo siano tutti i suoi compagni di soccorso, i vigili del fuoco, i medici, i feriti, che al pari di lui non sanno che dire a quanti gli si rivolgano per chiedere spiegazioni, nel desiderio istintivo e primordiale di venire rassicurati.
Nella pagina a fianco, l’Uomo Ragno osserva in disparte Cap, in piedi di fronte ai resti delle Torri, soldato fremente di orrore e di sdegno; e si domanda quanto possa essere terribile l’aver visto qualcosa del genere – qualcosa che nessuno, lui per primo, avrebbe mai voluto o immaginato di dover vedere – addirittura due volte. La prima, come sappiamo, di fronte alle immani distruzioni e alle carneficine della II Guerra Mondiale.
Una presenza molto significativa è anche quella dei cosiddetti villains, dei “cattivi”, che se ne stanno in disparte, e osservano, muti, il terribile scenario della catastrofe.
Alcuni di loro si sarebbero anche potuti collocare fra i soccorritori, non ci sarebbe stato nulla di strano a vedere Magneto (che in fin dei conti, per quanto considerato un terrorista, lotta per una causa civile, o almeno ritiene di farlo) oppure il Fenomeno, di cui si intravede la sagoma di spalle (e che in fondo è “solo” un enorme macchina da demolizione, inebriata del proprio potere, ma non si può considerare malvagio), adoperarsi fra le macerie, insieme ai Vendicatori e agli X-Men.
Ma si può supporre che gli autori abbiano voluto operare una scelta precisa: non un’occasione di redenzione, bensì una testimonianza silenziosa, una presenza in qualche modo partecipe, ma immobile.
Conoscendo i soggetti, è già molto.
Octopus è pressoché folle, e intravedere la sua figura tentacolata (sullo sfondo della prima scena, fra Kingpin e Magneto) e, immaginiamo, attonita, è già qualcosa, forse il massimo che un tipo del genere possa esprimere. Lo stesso si può dire per Wilson Fisk, che non conosce morale, solo i propri fini.
Magneto, dal canto suo, per quanto capace di sensibilità e di atteggiamenti solidali, avrebbe come primo impulso quello di distruggere gli aggressori; e, non avendo modo di farlo, la sua figura rimane immobile, muto spettatore di un orrore troppo grande e disumano, quale l’Olocausto che egli ha già vissuto.
Il succitato Cain Marko, il Fenomeno, probabilmente è solo troppo stupido, e non avvezzo a mettersi a disposizione dei bisognosi, per riuscire anche solo a pensare di poter fare qualcosa.
Ma, non a caso, la figura in primo piano è quella di Destino, e la scena di coloro “che pensavamo fossero nemici” si conclude su un dettaglio ravvicinato dei suoi occhi, in lacrime, dietro le feritoie della maschera di ferro che ne cela il volto deturpato.
Destino è un tiranno, un invasato (per quanto lucido), uno che ritiene di essere nato per conquistare il mondo. Non ha mai dimostrato il benchè minimo barlume di sentimento (se non nel ricordo della propria madre defunta), nulla che non fosse in qualche modo conforme, e utile, ai propri scopi. Non esiterebbe a ridurre in cenere un intero sistema solare, se questo fosse necessario a raggiungere il potere cosmico, assoluto, cui intimamente anela.
Eppure Destino piange, di fronte a un tale insensato orrore.
E’ troppo anche per lui. E non si possono interpretare le sue come lacrime di sdegno, o di rabbia, nonostante l’aspetto minaccioso che l’inquadratura e i duri lineamenti della maschera sembrano conferire al suo sguardo. Riguardando la scena nella sua interezza, non possiamo avere dubbi. Quelle di Destino sono lacrime di commozione, di fronte alle migliaia di vite innocenti assurdamente (e barbaramente) spezzate.
E vedere Destino che piange la morte di tanti che per lui non erano nulla, nient’altro che alcuni dei milioni di insetti che vorrebbe assoggettare sotto il suo aureo dominio, è un pugno nello stomaco dei lettori, è il massimo che un personaggio dei fumetti (un personaggio negativo del suo genere) possa esprimere. Un’immagine più efficace di qualsiasi commento. Quasi come se anche Victor Von Doom, come già abbiamo immaginato prima per Peter Parker a nome di tutti gli altri, si rendesse conto che quella è la realtà, mentre lui è solo una figura di carta, e nemmeno nella finzione possa essere tanto malvagio da soffocare la voce di quel briciolo di umanità che gli resta.
L’annotazione finale è per il disegno in bianco e nero che compare dopo l’ultima tavola a tutta pagina del fumetto, in cui si vede un vigile del fuoco, chino su uno sperone sopra le macerie, raccolto su se stesso, con in mano l’elmetto sfondato di un collega (forse di qualcuno che conosceva, forse di un amico) che probabilmente è rimasto fra le vittime, sepolto insieme a quelli cui stava cercando di portare aiuto.
Dello stesso disegno, su un albo dell’Uomo Ragno, è stata pubblicata una versione in cui la figura inginocchiata, con fra le mani il casco semidistrutto di un pompiere, è quella di Spider-Man. Se possibile, la sua espressione è ancora più commovente; sotto la maschera, l’eroe sta piangendo, addolorato in maniera sconsolata, indicibile.
E riteniamo, nel nostro piccolo, che riuscire a rendere talmente chiara, inequivocabile, autentica, profonda, l’immagine di un uomo che stia piangendo, il cui volto sia coperto da una maschera che di per se stessa dovrebbe risultare inespressiva, non sia solo il segno di un grande talento artistico.
Ci vuole qualcosa di speciale, dentro.
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(°) Naturalmente, per apprezzare tali contenuti sarebbe utile procurarsi l’albo in oggetto. Presso la casa editrice è esaurito, ma su eBay se ne possono trovare diverse copie.
L’ha ribloggato su U.B.EI.
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