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IoSonodellaRoma

Roma, stadio Olimpico, 19 marzo 2012. Foto di gruppo in mezzo agli amici abbonati dei Distinti Sud settore 23B, poco prima di un Roma-Genoa terminato 1-0 con rete di Osvaldo

(segue dalla seconda parte)

In settimana, poi, in campo europeo ci sono state altre gradite conferme e altrettanto gradite sorprese. Il Bayer Leverkusen ha confermato che la podistica formellese, negli ultimi due anni, pur oggettivamente mostrandosi come un buon collettivo capace di esprimere un calcio apprezzabile, in classifica è andata oltre il proprio reale valore più per demeriti di squadre come Napoli e Fiorentina, per tacere delle assenze comprensibili quanto ingiustificate delle milanesi, che per veri meriti propri.
Sotto lo sguardo sornione del loro ds, il nostro amatissimo Rudi Voeller, che non porta più i baffetti da sparviero ma ha ancora quella faccia da vecchio volpone, tale e quale quella volta che dopo un goal sotto la Sud si limitò ad esultare facendo l’occhiolino, come a dire “facile, no?”, i rossoneri di Leverkusen hanno spazzato via le illusioni di Lotito & C di misurarsi con le grandi d’Europa, invero alimentate dal golletto all’andata del Keita minore (tale perché giovane, e perché il maggiore, sia come età che come qualità e come tutto, gioca da noi), ristabilendo il giusto ordine delle cose.

Due giorni dopo, l’urna ci ha regalato un’altra visita a Roma di Rudi & C, stavolta però contro la squadra giusta, cioè la nostra, che è anche la sua.
Sarà bello rivederlo sugli spalti dell’Olimpico, pur se da avversario, perché Rudi è stato e sarà sempre uno di noi, e uno dei più grandi.
Non l’unica gradita sorpresa, nella medesima urna, poiché l’accoppiamento con la testa di serie ci ha riservato nientemeno che il Barcellona!
Avevo giusto celebrato una settimana fa la mia ammirazione per la straordinaria compagine catalana e per il genio di Messi, che ce la ritroviamo opposta nella prestigiosa cornice della Champions. Un onore, e una gioia per gli occhi e per il calcio, misurarsi con il Barça. Facile che finisca tanti a pochi, sia là che da noi. Ma non ha importanza, perché in un girone con il Barcellona tutte le altre giocano per il secondo posto, che è assolutamente alla portata, ben più che lo scorso anno. Anche se approdare agli ottavi insieme al Barcellona di Luis Enrique vorrebbe dire eliminare il Bayer Leverkusen di Voeller. Ma non è che il piacere di giocare contro due nostri stimati ex tecnici (anche se Rudi è soprattutto un ex giocatore, da tecnico ha diretto solo 4 partite) debba farci dimenticare che lo scopo del gioco è passare il turno.
E dunque uno dei due dovrà scendere per forza in Europa League a fare compagnia alla ginnastica formellese. Ammesso che sia ancora in gara.

E dopo tutto ciò, siam giunti a ridosso di Roma-Juventus.
Che per me è molto più di una partita di calcio, è quasi una sorta di rivalsa contro l’arroganza e lo strapotere economico di una famiglia di ricchi borghesi. E dei loro tifosi, gran parte dei quali nemmeno conosce i nomi dei loro giocatori che scenderanno in campo tra poco; ma nella malaugurata ipotesi che riuscissero a vincere, o quanto meno a non perdere, già da stasera salteranno sul carro dei loro tronfi trionfi, lanciandosi in sguaiati sfottò all’indirizzo del resto del mondo. Un mondo che li disprezza, chissà perché.
Ho testimonianze, in famiglia, di parenti che ammettono con candida spudoratezza di non capire niente di calcio, né di sapere chi gioca o chi non gioca nella loro squadra salvo i nomi più famosi che conosco tutti, ma di “tenere per la Juve” perché è facile che al lunedì al lavoro si possano prendere in giro i colleghi tifosi di altre squadre. Magari lavorando tutti quanti in Fiat, cosa che (anche se loro non se ne rendono conto) è il contrappasso più beffardo che si possa immaginare per i “gobbi” di questa risma.

E come non parlare degli arbitri, che 2 volte su 3 rovinano questa partita e la indirizzano a favore della Juve commettendo errori imbarazzanti; quasi come se, in quella specie di barcode fatto di casacche zebrate, leggessero il prezzo di loro eventuali decisioni che scontentino la casta intoccabile degli Agnelli, il cui disappunto potrebbe rappresentare un serio ostacolo alla carriera.
E vengono dunque indotti a sbagliare a loro favore, e contro di noi, così come contro tutte le altre squadre che affrontino in bianconeri. Poi mi domandano perché per me la Juventus sia fumo negli occhi. Credo di avere risposto.
A volte mi domandano pure come sia possibile che uno come me, piemontese con solide radici, senza alcun legame di parentela con la Città Eterna neanche alla lontana, nato a Cuneo e che vive da sempre nella Provincia Granda, possa tifare Roma. La risposta più semplice è che al cuor non si comanda, oltre al fatto che non sei tu che scegli per che squadra tifare, è lei che sceglie te, che ti affascina, ti seduce e ti fa suo per sempre. Nel mio caso poi non si tratta solo dell’amore per una squadra di calcio, ma per un’intera città, le sue vie, la sua storia, la sua gente. Perché la Roma è Roma. E Roma è tutto. Roma è la luce (cit.) 😀

Esiste anche una risposta più articolata del come e del perché io sono della Roma, e del perché senta di appartenere a Roma anche se non sono di Roma. Una storia che dovrei davvero decidermi a raccontare, prima o poi.
Per adesso, mi limito a riproporre l’ottimo video cui ho accennato in apertura:

 

Realizzato dai ragazzi di Serie Romanista, che so’ bravi davero, ahò, e dopo avermi deliziato giorni fa con L’amore è Dzeko, ieri mi hanno fatto commuovere con le immagini di certi bei momenti contro la Juventus nei quali io ero allo stadio di Torino, dunque in territorio ostile.
A volte mischiato in incognito in mezzo al “nemico”, come quel giorno di maggio del 2001 in cui Nakata e Montella  rimontarono nel quarto d’ora finale una partita che valse mezzo scudetto. Io ero poche file dietro la porta di Van Der Sar, e mi godetti ogni singolo istante dell’azione che portò alla mezza girata decisiva di Vincenzino. Il giorno dopo ebbi il piacere di conoscere Damiano Tommasi che venne nella mia città ospite di un ciclo di conferenze su tematiche sociali, e io fui il primo ad avvicinarlo prima del dibattito per stringergli la mano, complimentarmi e farmi autografare il biglietto della partita della sera prima.
O come la capocciata di John Arne Riise, che nel gennaio 2010 ci diede la vittoria per 2-1 al 92° su cross di Pizarro, dopo che già il Capitano aveva ristabilito il pareggio dal dischetto zittendo la becera curva juventina, che ci fosse una volta che sia capace di sostenere la propria squadra, invece di non fare altro che offendere giocatori e tifosi avversari per due ore e basta.
Anche di quell’azione conservo nella memoria una sequenza di fotogrammi nitidi: il Peq che recupera palla sulla tre quarti offensiva rubandola a un Diego imbarazzante, alza la testa e vede Riise che va verso la porta e gliela chiama, il cileno che la scodella forte e tesa sulla rossa chioma del norvegese, per un’inzuccata di perfetta giustizia che si insacca sul secondo palo, a pochi metri in linea d’aria da dove stavo io.

Da dove stavamo noi della Roma nel settore ospiti, pigiati oltre la capienza in barba alle norme di sicurezza. Perché, chissà per quale timore, gli addetti dello stadio avevano fatto confluire lì anche i tanti tifosi romanisti che, come me, avevano un biglietto di tribuna, e si erano sistemati pacifici e sereni in mezzo alle famiglie di juventini con bambini; si vede che avevano paura che ce li mangiassimo, non lo so. Ma andò bene così, anche se ci trattarono come bestie pericolose, fu ancora più bello venir via con i 3 punti.
Faceva un freddo cane quel pomeriggio, e stretti com’eravamo lì relegati nel settore ospiti, ci scaldammo meglio. Saltando e cantando da un’ora prima a un’ora dopo la partita. Tanto che quando alla fine Francesco venne sotto di noi, a salutarci e incitarci a cantare più forte per celebrare la bella vittoria appena conquistata, io non avevo più voce. L’ultimo filo l’avevo gridato tutto per abbracciare idealmente il Roscio, venuto a festeggiare dopo il suo goal decisivo. Che giornata fu quella! 🙂

D’accordo, uno juventino, o per meglio dire quel certo genere di juventino (che per fortuna ce ne sono pure di civili e di sportivi, anche se sono rari, perché godere troppo a lungo del potere può corrompere gli animi migliori), a questo punto potrebbe sfottermi dicendo che non se le ricorda nemmeno, le singole partite, tanto che ne ha viste vincere alla propria squadra.
Io forse lo guarderei sorridendo senza rispondergli, perché simili provocazioni da scuola elementare non meritano altra risposta che una divertita indifferenza. Ma, nel caso fosse qualcuno che conosco di persona, più tardi potrei mandargli il link del video qui sopra, con quel monologo finale che dice tutto. Un monologo scritto da Tonino Cagnucci, e che potete apprezzare anche sul suo blog. Un giornalista che seguo con piacere da anni e che stimo molto, perché scrive della Roma con passione e sentimento autentici, e un trasporto non di rado commovente. Senza mai perdere il senso della misura, e anzi, mantenendo un notevole profilo letterario. Perché lui è della Roma.
Proprio come me.