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2012-03-19 20.03.56

Roma, 19 marzo 2012. Stadio Olimpico, Distinti Sud settore 23B. In attesa di Roma-Genoa

 

(segue dalla prima parte)

Il debutto bianconero è finito dunque con una sconfitta inattesa, e clamorosa anche sotto il profilo storico-statistico: mai nella storia la Juventus aveva perso una prima di campionato giocata di fronte al proprio pubblico.
D’accordo, non è il caso di esagerare le proporzioni di questo risultato, era solo la prima partita e valeva 3 punti come tutte le altre. Però dal punto di vista psicologico è stata una bella mazzata: presentarsi di fronte ai propri tifosi per l’esordio in campionato nel ruolo di favorita per la conferma del titolo, e uscire sconfitti contro una medio-piccola, non è certo una cosa che possa dare morale e autostima.
Anzi, nelle dichiarazioni del post-partita, pensando all’impegno successivo, cioè a quel Roma-Juventus che andrà in scena fra poche ore, alcuni giocatori juventini hanno iniziato a ricordare come sia da molto tempo che non gli capiti di perdere due partite di fila. A parte il fatto che, per come la vedo io, mi pare doveroso e giusto approfittare del momento per azzerare il contatore di questa particolare statistica 😉 …ma non mi sembrano, queste, dichiarazioni volte a risollevare il morale dopo una falsa partenza. Anzi, denotano una certa insicurezza. Bene! 😀

Se la Roma ha mostrato imperfezioni, la Juve sta di certo messa peggio.
Del resto, non si possono sostituire da un giorno all’altro giocatori del calibro di Pirlo, Vidal e soprattutto Tevez. Sotto il profilo tecnico, ma in particolar modo per carisma e personalità.
Se mi avessero detto che dopo la prima di campionato la Roma sarebbe stata davanti alla Juventus avendo conquistato un solo punto, mi sarei messo a ridere. E invece è successo. La Roma si presenta allo scontro diretto davanti a Madama, posizione che non ricopriva da ben 65 turni consecutivi di campionato, cioè dai tempi della partenza-record di 10 vittorie iniziali di fila nella stagione 2013/2014, l’esordio fulminante della Roma di Garcia. Dopodiché, a partire dalla dodicesima giornata di quella stagione, in testa c’è stata sempre la Juve e quasi sempre da sola, con l’unica eccezione di qualche giornata a pari merito con la Roma .
Se mai c’è stato un momento in cui la Juventus degli ultimi anni è parsa vulnerabile, è questo. E dunque, va affrontata con feroce determinazione, e ricacciata 4 punti indietro. Poi, per carità, può succedere di tutto, il pallone è rotondo ecc. Ma è questo il solo e unico obiettivo che spetta alla Roma oggi: fare una grande partita, per se stessa e perché gioca contro l’avversario per eccellenza, e, proprio per tale motivo, e più che in qualunque altra partita (più ancora del derby, che in fin dei conti serve solo a ribadire concetti già scolpiti nella pietra e rimettere per l’ennesima volta le quaglie al loro posto, cioè dietro), vincerla.

Il resto della prima giornata ha mostrato altre cose interessanti, dall’ottima partenza del Toro, alla conferma del Sassuolo quale bella realtà di provincia capace di dire la sua in modo autorevole al tavolo dei grandi, quasi a ripetere la favola del Chievo di Delneri. D’altro canto, il Napoli ha confermato di non essere ancora all’altezza delle proprie ambizioni, e che Sarri avrà ancora parecchio da fare prima di riuscire a trasmettere agli azzurri il suo efficace pragmatismo.
E poi, soprattutto, la Fiorentina. Che, così com’era con Montella, è sempre squadra vivace, molto tecnica, bella a vedersi. La differenza starà nel tradurre tutto ciò in risultati concreti e continuativi, perché – insieme agli infortuni dei suoi attaccanti – il rendimento altalenante è stato fin qui quel che più ha frenato la Viola nel raggiungimento di posizioni consone al suo livello di gioco. La presenza sulla panchina di un tecnico di esperienza internazionale come Paulo Sousa può essere una garanzia in più in tal senso. L’esperienza non tanto di aver guidato il Basilea, ma di averlo fatto per anni in Champions League, in partite di alto livello, dove non si può sbagliare quasi nulla, nel costante perseguimento di obiettivi ambiziosi. L’inizio è stato assai incoraggiante, il resto si vedrà col tempo.

Opposto alla Fiorentina, il Milan ha confermato quello che già si sapeva, ovvero che è inutile comprare tante punte se poi il centrocampo non fa gioco e la difesa balla. E ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, come mai la Roma abbia riportato a casa Bertolacci dal Genoa per poi rivenderlo per tanti milioni al Milan senza neanche farlo passare da Trigoria, né porsi il dubbio se il ragazzo potesse piuttosto essere utile alla propria causa. Perché Bertolacci è buon giocatore, diciamo pure un ottimo giocatore, ma di fascia media. Uno sul cui rendimento puoi di certo contare, ma che non ti sposta gli equilibri. Bertolacci è un ’91 come il suo amico Florenzi, vale a dire che ha 24 anni. E a 24 anni, un campione se è tale lo sta già dimostrando in campo, così come lo sta dimostrando il nostro Ale, non solo da oggi e neanche da ieri. Bertolacci ha senz’altro ancora margini di crescita, ma non sarà mai uno che ti regge da solo il centrocampo di una squadra come il Milan, ammesso che il Milan voglia tornare presto a misurarsi nelle posizioni di classifica che competono alla sua storia recente e meno recente. Bertolacci è un buon puntello, così come De Jong, così come il suo ex-compagno Kucka, che dal Genoa lo ha raggiunto in rossonero proprio nelle scorse ore. Sono tutti buoni giocatori di livello medio, buoni puntelli, quelli che una volta si sarebbero definiti ottimi gregari. Ma una grande squadra non si può costruire solo coi gregari, se non hai niente di più solido da sostenere. Basteranno la mano di Mihajlovic e il giovanile estro di Bonaventura ad accendere questo Milan lì nel mezzo? Può darsi, ma io non ci credo molto.

L’Inter invece inizia ad assomigliare di più a una squadra di Mancini.
Una di quelle che vincono, intendo. Un allenatore che si fa comprare una dozzina di giocatori ogni anno, tutti importanti e per lui imprescindibili, salvo accantonarli dopo poche partite come un giocattolo rotto. Come fu per Pizarro. Com’è stato nei mesi scorsi con Shaqiri. Poi, compra oggi e compra domani, un insieme di giocatori di alto profilo che riescano a formare una sorta di amalgama spontaneo magari salta fuori. Un gioco forse no, ma a quel punto non ce n’è nemmeno così bisogno. Le squadre vincenti di Mancini, cioè l’Inter del 2006-2008 e il Manchester City di un paio d’anni fa, si sono assomigliate per il fatto di essere un coacervo di grandi solisti che in qualche modo sono riusciti a mettersi in campo tutti insieme, chi oggi chi domani vincendo le partite da soli, senza che si scorgesse un impianto di gioco che volesse sembrare qualcosa di meno basico di “dai la palla a Ibra o Vieira o Maicon (o a Tevez o a Yaya Tourè, a Dzeko o al Kun Aguero,) che poi ci pensano loro”. Ma forse è proprio questa la bravura del Mancio: cioè, quella di gestire uno spogliatoio di stelle, e di scegliere quali di esse mandare in campo di volta in volta nella speranza che facciano più o meno tutte ciò che sanno fare meglio, e giochino più o meno tutte nella stessa direzione. Dunque, viste le mie premesse, credo che quest’anno all’Inter bisognerà prestare attenzione, perché mi aspetto che torni a dare parecchio filo da torcere a tutti.

(continua sulla terza parte)