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Roma, 17 marzo 2012. Selfie al Museo di Palazzo Massimo alle Terme, con indosso una tuta di rappresentanza acquistata al Roma Store di Piazza Colonna in un precedente soggiorno

Nelle intenzioni della vigilia, questo avrebbe dovuto essere un post di analisi della settimana calcistica appena trascorsa: conferme e sorprese della prima di campionato, la conclusione dei preliminari di Champions e i successivi sorteggi della fase a gironi…

Poi, però, ieri mattina ho potuto apprezzare un video di grande forza espressiva, dedicato alla madre di tutte le partite che si giocherà quest’oggi alle 18 all’Olimpico di Roma, e il trasporto passionale del mio core giallorosso ha avuto il sopravvento. Scriverò lo stesso di ciò che avevo in mente, ma con un marcato timbro di tifoso romanista.

La Serie A 2015/2016 si è aperta sabato scorso con la Roma che ha impattato 1-1 al Bentegodi di Verona contro l’Hellas, fra (nuove) luci e (vecchie) ombre. Al rango di luci si ascrivono le parate di Szczęsny, ma soprattutto l’atteggiamento di Dzeko, uno che fa reparto da solo, si abbassa a dare una mano in difesa e in ogni zona del campo, dialoga con i compagni scambiando di prima (di esterno, e di tacco) su un campo allentato, dimostrando che la scusa del terreno imperfetto che limita i gesti tecnici è buona solo per quelli che di qualità tecnica non ne hanno abbastanza.
Oltre a ciò, le statistiche offensive dicono che la Roma ha tirato nello specchio della porta più che in qualsiasi precedente partita esterna della gestione Garcia. Un dato che conta poco se poi non la butti dentro, anche se nella fattispecie gran parte del merito va tributato al portiere scaligero Rafael, ma che testimonia dello sforzo messo in campo da De Rossi e soci.

Nel regno delle ombre, come sottolineato dai commentatori e dallo stesso mister nel dopo-gara, rimangono una circolazione di palla troppo lenta e dunque poco incisiva in fase di attacco (contro una squadra compatta e schierata con un 6-3-1 a protezione della propria area, che è lo schema con cui contro la Roma giocheranno 9 squadre su 10 per il resto dell’anno), e troppe palle perse in ripartenza dalla difesa e dal centrocampo, in modo a volte banale ancorché irritante. Difetti che la Roma si porta dietro dalla seconda parte della scorsa stagione, e che mi auguro – ci auguriamo tutti – possa risolvere in fretta; perché se ha ragione Florenzi nel dire come manchi loro ancora un po’ di brillantezza, nella giocata e nello spunto in velocità, a causa dei carichi di lavoro impostati durante la preparazione, è altrettanto vero che sbagliare un passaggio di due metri è una questione prima di tutto di concentrazione e atteggiamento mentale.

Detto ciò, se la Roma avesse portato a casa i 3 punti da Verona non avrebbe forse rubato nulla, visto il forcing finale, le occasioni avute e il mezzo miracolo di Rafael a deviare sul palo la conclusione ravvicinata di Pjanic nei minuti di recupero. Ma non si può non ricordare (e infatti Garcia lo ha giustamente sottolineato) gli spaventi patiti nella prima parte di gara, con la squadra come sorpresa dalla maggiore cattiveria agonistica dei veronesi, il salvataggio di De Rossi sulla linea di porta di una palla destinata in fondo al sacco, due-tre parate importanti del nostro portiere. E dunque, iniziare l’anno pareggiando a Verona ci può stare e non deve essere una tragedia, nonostante certa stampa e certe radio (e anche certi pseudo-tifosi capaci solo di sparare a zero sulla loro – molto presunta, direi – squadra del cuore) si siano subito abbandonati a pianti isterici e stridor di denti.

Di sera poi, la terza squadra di Milano ha regolato di misura il neo-promosso Bologna del loro vecchio allenatore, gran maestro di calcio e soprattutto di stile e di comportamenti a bordo campo. Bologna che alcuni commentatori hanno bollato come impresentabile per la categoria, e dunque è il caso che i formellesi non si montino troppo la testa. Ma per quello ci ha pensato qualche giorno dopo la formazione di un nostro vecchio amico 😉

Appena 24 ore, e la pillola dell’aver cominciato con un pareggio è stata addolcita in modo del tutto inaspettato, e per questo ancor più gradito.
Poco dopo le 19 ho acceso la tv su Sky con il canale impostato che era ancora quello di Verona-Roma, e in quel momento stava trasmettendo Juventus-Udinese. Al 20′ del secondo tempo la situazione era ancora bloccata sullo 0-0. Come da copione la Juve assediava gli avversari nella loro area, ma senza far loro subire grossi pericoli, e ho deciso di restare a guardare la fine del match. Un po’ per studiare i nostri prossimi avversari, un po’ per gufare, hai visto mai che i friuliani riescano a strappare un punto e dunque livellare la nostra mezza falsa partenza.
A un certo punto, ecco l’impensabile farsi realtà. L’Udinese è riuscita a passare la metà campo, e non si può nemmeno parlare di contropiede perché non è stato un contropiede, solo un’azione offensiva, forse una delle prime della partita per loro. Edenilson scende sulla destra all’altezza dell’area di rigore, fronteggiato da Chiellini. E io lì che penso: coraggio, dai, saltalo, che ci vuole a saltare Chiellini? Al massimo ti stende, avrai mica paura?

E invece no, la scarica dietro per l’accorrente Kone. Il quale Kone, prima ancora che io abbia tempo di manifestare il mio disappunto per la scelta di Edenilson, di prima intenzione scarica il pallone con una parabola alta e lunga sul secondo palo, a scavalcare tutta la difesa bianconera. E a quel punto, sì che esplodo in un’esclamazione. Non già di disappunto ma di compiaciuta sorpresa, tradotta in un nome e un cognome francesi: CYRIL!!! THEREAU!!!
Che sopraggiunto come un falco la butta in rete da due passi, facendola passare fra le gambe di Buffon; e poi si allontana esultando nel suo solito modo sobrio e singolare, con entrambe la mani alzate all’altezza del petto in una sorta di saluto vulcaniano al contrario, coi palmi all’interno.
Thereau è un onesto mestierante che ho sempre apprezzato, già quando giocava nel Chievo e ci ha castigati allo stesso modo in una o due occasioni. Uno umile e concreto, capace di tessere un oscuro quanto prezioso lavoro di supporto alla squadra, e poi di farsi trovare pronto al momento giusto per dare la zampata decisiva. Un bravo ragazzo, insomma, per cui in quel particolare momento ho provato ancor più stima 🙂

Dopo il vantaggio dell’Udinese la situazione non è cambiata, con la Juve a tenere palla e premere verso l’area avversaria in modo sterile, e i friulani a difendersi con ordine cercando ogni tanto di far ripartire l’azione. E se non fosse stato che, in quell’ultima parte di gara, il compagno in attacco del buon Cyril era Duvan Zapata, grande e grosso e buono sì a far salire la squadra, ma con i piedi fucilati, come ha dimostrato in quel paio di conclusioni flosce in cui si è esibito, il passivo per la banda di Allegri avrebbe potuto essere anche più pesante.

(continua sulla seconda parte)