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epa04880430 Barcelona's players celebrate with the trophy after winning the UEFA Super Cup match between FC Barcelona and Sevilla at Boris Paichadze Dinamo Arena in Tbilisi, Georgia, 11 August 2015. EPA/ZURAB KURTSIKIDZE

epa04880430 Barcelona’s players celebrate with the trophy after winning the UEFA Super Cup match between FC Barcelona and Sevilla at Boris Paichadze Dinamo Arena in Tbilisi, Georgia, 11 August 2015. EPA/ZURAB KURTSIKIDZE

Mancano poche ora all’inizio del campionato di Serie A, e ho ancora negli occhi la partita di Supercoppa europea tra Barcellona e Siviglia di 10 giorni fa. Centoventi minuti degni di essere tramandati come un compendio di tutto ciò che di buono, bello, spettacolare e imprevedibile possa offrire il calcio.

L’inizio è stata una danza argentina, tre prodezze balistiche su tre punizioni a ridosso dell’area, in tutto nel breve spazio del primo quarto d’ora.
Dopo appena 180 secondi Banega rompe gli equilibri del match portando in vantaggio il Siviglia, ma in pochi altri giri di lancetta Messi sale in cattedra e dalla propria mattonella pareggia e ribalta la situazione in favore del Barça. Un goal uno più bello dell’altro, percentuale al tiro del 100% per Leo.
Una cosa che mi ha fatto ricordare i tempi in cui Zico giocava nell’Udinese, e i radiocronisti chiedevano la linea allo studio nel momento in cui ai friulani veniva assegnata una punizione dal limite, quasi come se si trattasse di un calcio di rigore. La probabilità di veder finire la palla in rete era la stessa che dagli 11 metri, e allora come oggi è ancora così, quando al tiro si presenta un numero 10 di classe infinita.

Da lì in poi, e fino al decimo del secondo tempo, è stata una sinfonia blaugrana. Che quando il Barcellona gioca come sa, facendo girare il pallone al giusto ritmo soprattutto nella metà campo avversaria, e riconquistandone il possesso in meno di 10 secondi nelle rare evenienze di un passaggio sbagliato o una ribattuta degli avversari, non ce n’è per nessuno.
Da anni ormai, cioè dal dream team di Pep Guardiola di cui oggi la squadra di Luis Enrique è sia diretta discendente che evoluzione, nel ricalcarne i pregi e il sistema di gioco sviluppando però una maggiore verticalità, considero il Barcellona la più pura è compiuta espressione di calcio che mi sia mai capitato di vedere.

A cui si aggiunge Leo Messi. Un diamante di squisita fattura e luminosità che ad ogni partita si conferma e al tempo stesso si rinnova. E ancora sorprende, pur dopo tutti i trofei individuali e di squadra fin qui conseguiti.
Messi che salta gli avversari sottraendosi alla marcatura con movimenti infinitesimali del corpo e del pallone, che intuisce e ispira trame di gioco a velocità di pensiero e di esecuzione doppia rispetto a qualunque altro mortale. Stoccatore geniale, e letale, nelle conclusioni come nei passaggi illuminanti ai compagni.
La definizione più recente (e a mio giudizio azzeccata) di Messi, nella sua aurea semplicità, è di Francesco Totti. Il giorno dopo il recente confronto tra Barcellona e Roma per il trofeo Gamper, in un affettuoso scambio di complimenti e stima reciproca fra i due via social network, il dieci giallorosso e mio infinito capitano ha ricambiato il riconoscimento di “leggenda” datogli da Leo definendo quest’ultimo, semplicemente, “il calcio”. Concordo appieno. Messi è il calcio a livello individuale, così come il Barcellona lo è a livello di squadra.

E il Siviglia? Con una qualità tecnica media inferiore a quella del Barcellona, ma tutt’altro che di basso livello, e mettendo in campo caparbietà e voglia di riscatto senza arrendersi al pesante passivo di 1 a 4 all’inizio del secondo tempo, ha buttato il cuore oltre l’ostacolo arando le fasce, aggredendo la difesa blaugrana che già nei primi 45 minuti aveva mostrato incertezze assortite (poco consone a quella che è stata la miglior difesa della Liga nella passata stagione, conclusa con le vittorie di campionato, coppa del Re e Champions League), e realizzando un’entusiasmante e incredibile rimonta, completata a pochi minuti dal 90°.
Mostrando così che le risorse emotive e di determinazione, prima ancora di quelle tecnico-tattiche, possono cambiare le sorti di un match che dopo un’ora di gioco sembrava già chiuso, e avviato verso l’ennesimo e tutto sommato abbastanza agevole trionfo della squadra più bella e più forte del pianeta. Una rimonta veemente che, dopo la splendida sinfonia barcellonista della prima ora di gioco, è stata altrettanto nobile e bella a vedersi.

E il Barça, dal canto suo, ha mostrato come anche la squadra nettamente più forte di qualunque altra sul pianeta, quando si appaga e si rilassa pensando di avere il risultato in pugno, e accusato il ritorno di fiamma di avversari validi e non domi prenda a sfilacciarsi, a sbandare e farsi pervadere dal timore, via via più concreto col passare dei minuti, di vedersi raggiungere dopo aver accumulato un vantaggio di gioco e di punteggio che solo pochi minuti prima sembrava insindacabile, diventa una squadra normale e battibile come e più di qualunque altra, d’improvviso preda di tante comprensibili e umane insicurezze.

Certo, in tutto ciò entrano in gioco anche l’atteggiamento e le scelte dei due tecnici. Unai Emery, da una parte, che aggiusta la propria squadra in maniera azzeccata negli uomini e nella disposizione tattica, e trasmette al suo Siviglia la forza di credere nell’impresa. Dall’altra, Luis Enrique che prima perde Iniesta, fin lì al solito sublime, per infortunio, e lo sostituisce con Sergi Roberto, che è come dire passare da tutto a niente. Non per il valore del ragazzo, che conosco poco e non posso giudicare, ma per l’impatto pari a uno zero assoluto avuto sulla partita, con il Barcellona che da quel momento in poi è stato come se stesse giocando in 10. Va bene che fino a un paio di mesi fa il sostituto naturale di Don Andrés sarebbe stato un certo Xavi, scusate se è poco, cosa che ora non può più essere. Ma è possibile che in panchina non ci fosse un ricambio più adatto, più pronto sotto il profilo caratteriale?

Poi il buon vecchio Lucho, l’hombre vertical che mi sta simpatico e per cui provo affetto per essere stato il primo allenatore, per quanto ancora acerbo, della Roma americana, è riuscito a fare anche di peggio, facendosi venire il braccino e togliendo Rafinha (schierato esterno nel tridente d’attacco al posto di Neymar fermato dagli orecchioni, e fin lì uno dei più positivi) per inserire Bartra nel ruolo di terzino sinistro, avanzando Mascherano a centrocampo e passando dunque dal consueto 4-3-3 a un più coperto 4-4-2.
Ora, Bartra l’ho già visto giocare altre volte, e se l’è sempre cavata in modo discreto, anche se di solito mi pare che giochi come centrale difensivo, ma non ne sono sicuro. Ciò di cui sono sicuro è che il succitato nulla mostrato nell’occasione da Sergi Roberto, in confronto a ciò che è stato capace di combinare Bartra, era comunque preferibile. Con Bartra esterno sinistro della difesa a quattro non solo il Barcellona si è trovato a giocare in 9, ma il Siviglia a quel punto era in 12. Nei pochi minuti che mancavano ad arrivare al 90° e portare a casa la vittoria, il ragazzo ha combinato più sciagure del biondo Benedetti nella Roma di Boskov, e il meritato pareggio del Siviglia a 5 minuti dalla fine dei tempi regolamentari è stata quasi una logica conseguenza non solo dell’impeto agonistico degli uomini di Emery, ma anche degli errori di tecnico e giocatori del Barcellona, di cui Bartra ha rappresentato l’espressione massima.

In effetti, una partita terminata entro i 90 minuti con il punteggio di 4-4 dice che per forza qualche errore della difesa debba esserci stato. Palese ad esempio a inizio ripresa il passaggio orizzontale di un difensore del Siviglia intercettato da Busquets in prossimità dell’area avversaria, e appoggiato a Suarez liberissimo di concludere per il momentaneo 4-1. Ancor più palesi le incertezze e gli svarioni di Dani Alves, Mathieu e (per distacco, anche in relazione ai pochi minuti giocati) del già citato Bartra, che hanno valorizzato appieno gli sforzi del Siviglia di recuperare il risultato.
Anche questo, in un certo suo modo, è il bello del calcio. Puoi fare un gran bel gioco, ma poi capita che gli errori individuali ti puniscano più di quanto avresti al contrario meritato di ottenere a livello collettivo.
L’ultimo clamoroso errore della partita è stata ancora di un difensore, l’ex milanista Rami, che a capo di un’azione fotocopia di quella che aveva consentito al Siviglia di completare la rimonta da 1-4 a 4-4, con Immobile a tagliare l’area con un altro pallone bello teso solo più da buttare in rete da due passi, ha impattato di ginocchio spedendo sul fondo l’ultimissima occasione per ottenere un nuovo pareggio allo scadere del secondo tempo supplementare.

(continua sulla seconda parte)