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26/12/2007
Vi sono storie che se le si ascolta con il cuore aperto feriscono troppo profondamente.
20/07/2008
La guarigione è una forma di rivolta e, come mi pare di aver spiegato, tutte le rivolte riuscite cominciano in segreto.
L’inverno è arrivato, e con esso il cielo grigio e le piogge.
La giusta cornice per il mio umore di questi giorni.
Lo ammetto senza reticenze, a costo di passare per un bastian contrario brontolone: io detesto le festività natalizie. Ecco, l’ho detto.
Detesto che, puntuale come le disgrazie, arrivi quel momento dell’anno in cui, quale che sia il tuo stato d’animo e le traversie che si stanno affrontando (e che magari riecheggiano nelle tribolazioni di persone a te vicine), ti viene detto che devi sentirti lieto per forza, buono con tutti, in pace con il mondo.
E perché mai, di grazia? Perché è Natale.
Perché si celebra la nascita di Gesù.
Ma per favore.
La vita reale se ne frega del nostro bisogno di credere in qualcosa di soprannaturale, e delle nostre ricorrenze pseudo-religiose.
La vita accade, e basta. E spesso è fonte di preoccupazioni e di tristezza, e non di rado ferisce, di quel genere di ferite che impiegano un sacco di tempo a rimarginarsi, per poi lasciarsi dietro grosse cicatrici.
Ciò che accade a me, di solito, è che a questo punto dell’anno sopraggiungano, inopportune, colorate celebrazioni di letizia eterodiretta; a ricordarmi prima di tutto le cose che non ho.
Che ho perduto, e sono molte. O che non ho mai avuto, che sono ancora di più. E sono quelle che fanno più male.
A ricordarmi che, anche se amo leggere e raccontare storie, ce ne sono di quelle che feriscono troppo profondamente. Perché sono vere, e almeno due o tre di esse le ho vissute sulla mia pelle.
A farmi sentire stanco e sfiduciato, perché mi sembra di combattere, di stare in rivolta, da una vita; ma nonostante la conquista di posizioni non secondarie, la “guarigione” che dir si voglia appare obiettivo ancora lontano, incerto, affatto scontato.
Concordo su questo punto con il buon vecchio zio Steve: le rivolte riuscite cominciano in silenzio, l’ho sperimentato io stesso. Si vede che ogni tanto faccio troppo rumore. Già, dev’essere per quello.
Non fraintendetemi: sarei stato lieto di poter festeggiare il Natale in pace ed armonia, un po’ come quando ero bambino.
Sono agnostico, d’accordo, ma anch’io subisco il richiamo dell’immaginario collettivo; e, soprattutto, le tradizioni radicate nell’infanzia conservano un fascino confortante.
E’ per questo che, nei giorni scorsi, ho augurato Buon Natale a tutti, amici e conoscenti. E i miei auguri erano sinceri, pur sapendo che auguravo loro una leggerezza di spirito che a me non sarebbe stata concessa.
Da giorni ho smarrito l’ottimismo, e la determinazione, che mi hanno sorretto nei mesi scorsi, e che hanno finito per consumarsi sotto il peso degli eventi. Mi sveglio al mattino con il morale sotto i tacchi, intontito e rallentato come un pugile che ne ha prese troppe.
Del resto, non scrivevo da parecchie settimane; per me scrivere è un po’ come respirare, dunque si può dire che per tutto questo tempo sia rimasto in apnea.
Ovvia conseguenza, credo, del dover fare i conti con cose ben al di là della mia capacità di controllo; tali da farmi ritenere che lassù qualcuno, ammesso che qualcuno ci sia, abbia un senso dell’umorismo davvero perverso, per contenuti e tempistiche.
Un esempio? Mah, tipo, la prima cosa che mi viene in mente, ritrovarsi un genitore ridotto ad una versione crudelmente reale del Barone Ashura, personaggio già di per sé piuttosto infelice.
E, per quanto grave, non è nemmeno il peggio che sia capitato, quest’anno, proprio a ridosso delle festività.
Ecco dunque, con la rinnovata avversione per le medesime, che la pur comprensibile stanchezza sfuma nella frustrazione; l’insicurezza si insinua serpeggiando; la seduzione della resa mi sussurra parole dolci all’orecchio, a ricordarmi la mia paura più grande. Che non è la prospettiva di dovermi arrendere, casomai, all’evidenza, se e quando dovesse rendersi inevitabile. Quanto piuttosto di smarrire la tenacia, e la convinzione, nel perseguire ciò in cui credo.
(continua)
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(Foto di Maurizio Marino, per gentile concessione)
katherine ha detto:
Su Facebook ho ritrovato quest’anno la mia compagna di banco del Conservatorio. Abbiamo trascorso insieme gli anni dai quattordici ai 19 ed abbiamo condiviso tanti momenti: esami, concerti, verifiche, ma anche passeggiate sotto ai portici, sogni, speranze per il futuro. Era una brunetta tutto pepe, molto intelligente e generosa.
L’ho ritrovata, come dicevo, dopo tanti anni, scoprendo che, dopo aver curato i genitori fino alla morte per cancro, da venti anni sta lottando come una leonessa, sola, per dare felicità e un minimo di autonomia al suo unico figlio, cerebroleso dalla nascita.
Ogni anno lo porta in America, per essere sottoposto a cure speciali, ha comprato ogni sorta di apparecchiature per farlo camminare, nuotare, andare a cavallo, sul triciclo…Recentemente abbiamo fatto una colletta su facebook per aiutarla ad acquistare una tuta speciale, con elettrodi che lo fanno sembrare all’uomo bionico e, finalmente, in questi giorni, ho condiviso con lei e i suoi amici la gioia di vedere il suo ragazzo afferrare, per la prima volta nella vita, un oggetto con le mani.
Ecco, di fronte ad una donna così, che si dona ogni giorno, da vent’anni, per far compiere piccolissimi progressi a quel suo sfortunato figlio, sapendo che, quando non ci sarà più lei, nessun altro sarà in grado di sacrificarsi così tanto per permettere a quel ragazzo di mantenere i progressi raggiunti, non posso che pensare che l’amore sia veramente il motore che fa muovere il mondo e che con l’amore si possano ottenere risultati impensabili.
So che questi sono momenti molto duri per te e le persone che ti sono vicine, ma tu hai la forza della giovinezza, l’intelligenza, l’amore, il coraggio dalla tua parte. Ce la farai, ne sono sicura. Non abbatterti e combatti. Al fondo del tunnel c’è la luce. Ci deve essere.
Un abbraccio forte!
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Julian Vlad ha detto:
Cara Katherine, per come la vedo io, il problema non è tanto se ci sia o meno una luce, infine. Ma da quanto è lungo il tunnel. E, per sovrapprezzo, da quante gallerie vi confluiscano.
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katherine ha detto:
Lo so, purtroppo. Questi tunnel bui sono un vero flagello, fisico e psicologico. Non posso che augurarti che il tuo non sia troppo lungo e che la luce arrivi presto. Ti sono vicina.
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Julian Vlad ha detto:
Ti ringrazio, lo apprezzo molto.
Desidero però precisare che non mi riferivo, solo, alla situazione di salute di mia madre, che vedremo come si evolverà. E’ proprio un momento contingente, questo, di particolare difficoltà e frustrazione, in cui svariati “infortuni” si sommano come una sorta di accanimento. Nella seconda parte di questo post ne racconterò un altro, forse meno grave (anzi, senza dubbio meno grave), ma che ha contraddistinto profondamente, in negativo, queste ultime settimane.
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ombreflessuose ha detto:
Caro Dario, non avevo sentore del tuo stato d’ animo, e hai tutte le ragioni di questo mondo per avere il morale sotto i tacchi
Sai, se ti può consolare anch’io ho passato dei Natali amari e in malinconia in compagnia delle lacrime e del mio odio per le feste natalizie
Poi a mano a mano il mio cuore di bimba è riemerso ed ho percepito ancora lo spirito natalizio
ci dispiace per la tua mamma e per tutti gli affanni che ti porti dentro e
Come dicevo nel mio blog, non ti auguro grandi cose, ma piccole gocce di serenità, gioia, amore e benessere
Abbracciandoti ti lascio a un buon e sereno 2014
Mistral
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Julian Vlad ha detto:
Ti ringrazio, cara amica, del tuo abbraccio e della tua comprensione. Di piccole gocce si compone un mare, ed io di rimando auguro a te un’ampia distesa di pace, di calorosi affetti e di quieta e serena gioia. Ci riabbracceremo l’anno prossimo, questo è sicuro 🙂
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Julian Vlad ha detto:
L’ha ribloggato su Nove fiori gialli.
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