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Cari amici,
quest’oggi ho il piacere di introdurre un autore che apprezzo molto, un giornalista e scrittore capace di mettere in ciò che scrive una sensibilità non comune.
Il pezzo che vi propongo è tratto dalla sua rubrica Cuori allo specchio, e nel dire così avrete senz’altro già capito di chi vi stia parlando 🙂
Per non stare ad annoiarvi con i miei commenti, in merito ai passaggi che trovo più significativi, mi sono limitato ad evidenziarli in grassetto:
26 luglio 2007
E’ ben buffa questa morale che ci siamo costruiti, secondo cui dopo una certa età diventerebbe disdicevole provare attrazione per persone diverse da quella con la quale abbiamo un rapporto stabile. Chissà chi ha stabilito che solo l’adolescenza e la giovinezza sono il tempo degli innamoramenti e delle sensazioni forti: poi subentra la maturità, uno mette il tappo alle tentazioni e vive insieme alla persona più – o meno – giusta finchè morte o divorzio non li separi.
Capisco dunque il tuo smarrimento.
Se io, uomo adulto, amo con convinzione una donna da anni, come posso all’improvviso subire il fascino di un’altra più giovane?
Non sarà che per il semplice fatto di provare questa attrazione, io non desideri più la persona con cui convivo? Che il nostro sentimento sia stato un equivoco e che ciò che per tanto tempo ho chiamato amore fosse solo mancanza di altre opportunità?
Domanda: ti piace il cioccolato? Spero di sì.
Ma ti senti in colpa a osservare con cupidigia una sacher, anche se ne hai già spazzolato una fetta a pranzo? Spero di no.
Il problema, infatti, non è il cioccolato in sè, ma quanto ne mangi. Non il desiderio, ma la tua capacità di gestirlo.
Fa parte della natura umana provare curiosità, interesse, eccitazione per tutto ciò che è nuovo. E’ questa propensione allo stupore che ci salva dal rischio di morte sensoriale che coglie chiunque accetti di rifugiarsi nell’abitudine.
Ma di fronte all’emozione delle novità si può reagire in due modi. Cedendo sempre alla tentazione, in una visione puramente edonistica che porta a cogliere ogni piacere senza farsi il problema della conseguenza. Oppure esercitando quell’autodisciplina interiore che distingue l’adulto dall’eterno Peter Pan. L’arte della rinuncia è una forma terribile e sublime di crescita interiore. La tentazione serve proprio a questo: a misurare la sincerità profonda delle proprie scelte. Non capirai mai quanto ami una persona, un’idea, una scelta di vita finchè non ne incontri un’altra che ti piace.
E’ allora che scopri cosa sei davvero disposto a sacrificare per ciò in cui credi.
Quindi non perdere tempo a mortificarti per aver provato una pulsione più che naturale. E prendi l’emozione che ti provoca la nuova ragazza come un’utile cartina di tornasole per verificare l’altro rapporto, quello consolidato.
Un paio di mie considerazioni a volo d’uccello.
La prima, è che Gramellini spiega molto bene quale opportunità, in fin dei conti, offra la tentazione, attribuendole lo stesso significato fatto proprio dall’insegnamento cristiano.
Poi però il consiglio che da, all’interlocutore cui si rivolge, è esattamente all’opposto, rispetto al senso di colpa che in un caso simile vorrebbe instillare la morale cattolica. Secondo cui, il semplice fatto di provare desiderio per un’altra donna, senza aver nemmeno il tempo di porsi delle domande e cercare di darsi delle risposte, è già di per sè peccato, e sintomo di un animo debole e fallace.
La conclusione a cui arriva Gramellini è un enunciato a rigor di logica, e mette in evidenza una cosa non da poco: le due concezioni cristiano-cattoliche tirate in ballo in questo discorso, fra di loro, sono in aperta contraddizione, se non addirittura in totale contrapposizione.
La tentazione è uno strumento di verifica di un dubbio o di una scelta, e fin lì ci siamo. Però non puoi permetterti di portelo, il dubbio, perchè se ci stai a pensare su, anche solo per un attimo, hai già sbagliato. Vuol dire che la tua fede non è salda, e che sei un peccatore. Dunque, quale opportunità di verifica sarebbe mai, se non è nemmeno consentito porsi dei dubbi?
Non può reggere, e infatti non regge.
Cosa c’entra tutto ciò nel post di oggi, mi domanderete? C’entra 🙂
Mi piace cogliere le occasioni, quando si presentano, per mettere in evidenzia le contraddizioni irresolubili insite negli insegnamenti di chi, in nome di un’idea o di una fede, si erga a difensore unico della morale comune, e pretenda pure di imporre il proprio punto di vista.
Peccato che sia strabico 😀
Per non fare di tutta l’erba un fascio, riconosco di aver conosciuto, in vita mia, non pochi sacerdoti cattolici che avrebbero saputo mostrare la stessa illuminata sensibilità di Gramellini, in questa come in altre circostanze. Tuttavia, mi sento di affermare che il fatto di essere sacerdoti non aggiungesse, alla loro capacità di comprensione dell’animo umano, proprio nulla.
La seconda considerazione, è che l’analisi di Gramellini, appunto, è tanto sensibile quanto lucida, capace di giungere ad una conclusione logica e inoppugnabile. Che può anche non piacere, per carità, è normale ritrovarsi con idee e opinioni opposte fra più persone diverse. Ma francamente mi stupirei se qualcuno mi obiettasse che si tratti di una conclusione non condivisibile.
E penso che, nella circostanza analizzata da Gramellini, un terapeuta di professione (e credetemi, io ne conosco uno davvero bravo, di un’umiltà e una sensibilità squisite) non avrebbe potuto fare di meglio 🙂
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(Foto di Maurizio Marino, per gentile concessione)
Posso copiare e salvare questo post tra le cose da non dimenticare mai?
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Ma certo che puoi! 🙂
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L’ha ribloggato su Nove fiori gialli.
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