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Avvertenza per i lettori: questo è un post a puntate, ed è scritto da tifoso. Contiene iperboli di strafottenza, e spunti polemici in gran quantità.
Pertanto, se ne sconsiglia la lettura ad un pubblico non particolarmente interessato all’argomento, o troppo sensibile 🙂

(se vi siete persi la puntata precedente, potete leggerla qui)

Facciamo un passo indietro.
La storia della finale di Supercoppa italiana 2013, ovvero la partita giocatasi domenica sera, inizia da lontano, dallo scorso marzo. Quando cioè la Juventus FC avvisò la Lega di Serie A del fatto che, nell’ipotesi di conquista dello scudetto, con conseguente diritto acquisito a disputare la gara di Supercoppa prevista a metà agosto, perdipiù (con buona probabilità) in quel di Pechino, non sarebbe stata disponibile per tale sede in quanto impegnata in una tournée di prestigio negli Stati Uniti.

A marzo, i giochi del campionato non potevano certo dirsi già conclusi.
Era molto probabile che la Juventus alla fine avrebbe vinto, ma non ancora matematico. Di matematico c’era però l’accordo commerciale stipulato dalla società bianconera per la tournée di cui sopra. Dunque, nella circostanza, e dato il largo anticipo con cui è stato dato avviso a chi di dovere, il comportamento della Juve è stato assolutamente corretto e tempestivo.
E credetemi, mi costa un certo sforzo scrivere una cosa del genere.
E’ come ritrovarsi a dover rimarcare quell’unica volta nella vita in cui un certo imprenditore di Arcore abbia detto la verità. Uno si ferma un attimo a riflettere, gli vien voglia di dire che vabbè, sarà stato un caso, soprassediamo. Poi va avanti, e decide di dire e scrivere ciò che (fosse anche solo per quell’unica circostanza) è giusto dire e scrivere.
Come sottolineavo ieri, è questione di onestà intellettuale.

Dopodichè, in capo ad un paio di mesi, quando la Juventus ha effettivamente vinto il campionato e conquistato anche il diritto a disputare la Supercoppa, si assiste all’atto conclusivo della stagione calcistica: ovvero la finale di Coppa Italia, che oltre ad assegnare il trofeo determinerà anche l’avversaria dei bianconeri nel successivo appuntamento agostano.
Ora, sapete tutti com’è andata, e il modo ancor mi offende. Per la prima volta la Coppa Italia si sarebbe assegnata con il derby più accesso e sentito dell’italico stivale. C’erano un sacco di ottimi, anzi di sacrosanti motivi, per i quali la squadra della Capitale avrebbe potuto, e soprattutto dovuto, vincere quella partita. Che invece ha perso. Giocando male, in modo contratto e nervoso, per nulla incisivo. Una partita di rara bruttezza, giocata alla pari (cioè da schifo) anche dall’atletico formellese. Che dalla propria ha solo avuto un pizzico di fortuna in più, in una delle rare occasioni da goal da ambo le parti; un pallone lisciato dal nostro miglior difensore, un carneade bosniaco che passava di lì e l’ha messa dentro, a meno di 20 minuti dalla fine. E poi via con i festeggiamenti, di isterismi e proporzioni degni di un Mondiale vinto dalla Corea del Sud (°).

E da quel momento, cioè dalla conquista fortunosa di un trofeo da parte dell’US formellese, è iniziata la solita commedia all’italiana. Con il loro presidente (°°) che annusava già i soldi degli organizzatori di Pechino, e saputo dell’indisponibilità della Juventus per quella data e luogo ha iniziato a strillare come un aquilotto spennato.
Peccato che sia la Lega di Serie A a decidere in quale sede si disputi la Supercoppa italiana, e che il contratto con i cinesi preveda 3 finali a Pechino nell’arco di 5 anni, dunque si può pure saltare un’edizione, e anche due. La “prima volta” di tale gara in quel di Pechino è stata nel 2009, poi replicata nel 2011 e 2012. Nel 2010 invece si è giocato a Milano, in casa della detentrice dello scudetto che in quell’occasione era l’Inter, contro la Roma. E nessuno da entrambe le parti ebbe niente da ridire.

Dunque, di deciso non c’era proprio nulla. La conquista fortunosa della Coppa Italia dava sì diritto al borgorosso formellese di disputare la gara di Supercoppa, ma non stava scritto proprio da nessuna parte che tale diritto si estendesse anche alla garanzia di appropinquarsi dei soldi cinesi.
Il tiraemolla è durato per qualche settimana, con gli strilli dell’uno e i (giustissimi) contrappunti infastiditi della Juventus. Fino alla magnifica pilatesca decisione di Beretta (ve lo ricordate Beretta? Faccia simpatica, occhiali dalla montatura sottile. Una volta leggeva il telegiornale, ora fa il manager in Unicredit e contemporaneamente presiede la Lega Calcio di Serie A. Dicono che come manager sia pure bravo, e non ho motivo di dubitarne. Altri suoi colleghi al massimo sono arrivati a condurre Porta a Porta. Alla faccia della carriera, dunque).

Beretta, dicevo, alfin si pronunciò in merito: niente Pechino nè altre sedi estere, si gioca in Italia. E fin qui ok. Ma non a Torino, in casa della Juventus scudettata, come è sempre stato nei 27 anni precedenti – ovvero da che esiste la Supercoppa – tranne quando si sia giocato all’estero.
Bensì a Roma. Dichiarata, dal disarmante Beretta, la sede naturale della competizione. Al pari della finale di Coppa Italia, la cui sede a Roma è però stata fissata dal 2007. Solitamente, le sedi delle finali vengono decise con almeno un anno di anticipo, se non di più. A questo giro invece no.
Uè, Maurì, mancano poche settimane alla partita, Pechino nse po fa, mo che famo? Ma sì giochiamola a Roma. In casa (si fa per dire) di chi ha vinto solo la Coppa Italia, non dei campioni d’Italia in carica, com’è sempre stato. Che strano, proprio stavolta che l’avversaria è l’UC formellese. Poi magari qualcuno riesce ancora a domandarsi come mai l’ineffabile Beretta ormai non si chiami più Maurizio, che pure sarebbe il suo nome proprio, ma Dimmi Claudio. Claudio, per chi non lo sapesse, è il suo intimo amico nonchè presidente della pallavolo (pardon) della ginnastica formellese.

Il motivo di tutto ciò non è da ricercarsi in un puntiglio campanilistico, nè logistico. E’ stata una pura questione di soldi. Lo Stadio Olimpico di Roma ha una capienza di circa 73mila posti, lo Juventus Stadium di Torino “solo” di 41mila. Dopo aver dovuto ingoiare il rospo di vedersi sfumare sotto il naso le laute e tanto pregustate prebende cinesi, magari già perfino iscritte a bilancio la sera stessa della conquista della Coppa Italia, volevate mica che il presidente formellese rinunciasse anche a qualche migliaio di biglietti d’incasso? Non a caso, subito dopo la decisione di far disputare la gara a Roma, Dimmi Claudio Beretta aveva avanzato pure una bislacca proposta di ripartizione dei proventi della partita, che garantisse alla podistica formellese un incasso pari a quello che avrebbe ricavato giocando a Pechino, mentre alla Juventus sarebbero rimaste solo le briciole.
Questa ulteriore forzatura, per fortuna, non è poi passata. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta di una risoluzione già di per sè assai grottesca.

(continua sulla terza parte)

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(°) Li si può capire, poveretti, non avranno mai un’altra gioia del genere. Una volta ogni 113 anni può capitare di perdere un po’ tanto la brocca, quando non sei abituato a primeggiare, ed anzi, quasi sempre ti ritrovi a guardare gli altri, cioè noi, da sotto in su. Qualche volta di un solo punto, molte altre da distanze siderali, addirittura da una categoria più in basso.

(°°) Sinceramente, mi viene da ridere a doverlo chiamare presidente.. la stessa carica ricoperta da galantuomini dello stampo di Dino Viola e Franco Sensi; infatti, loro sono stati presidenti della Roma, mica della polisportiva formellese 🙂

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(La foto che compare nell’articolo è tratta da questa pagina web)