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Seascape, John o’Groats, Scotland © maurimarino
Il mio post di ieri, che si concludeva con un’osservazione anti-discriminatoria, nella propria tempistica è stato del tutto casuale.
L’avevo scritto a fine settimana scorsa, e programmato perchè uscisse la mattina di Ferragosto. La discriminazione nei confronti dell’omosessualità è un tema che mi sta a cuore, e dal momento che la citazione inserita nel mio “fiore giallo” mi offriva lo spunto per dire la mia, l’ho detta.
A volte, però, la casualità incrocia la realtà quotidiana con una coincidenza davvero incredibile, non di rado crudele. Avrete in mente tutti, immagino, la storia di quel povero ragazzino di Roma, che qualche giorno fa ha deciso di uscire di scena nel modo più netto possibile: disperato, perché deriso dai compagni di scuola in quanto gay; e (soprattutto) perché sentiva di non poterne parlare con nessuno.
Il fatto di cronaca ha avuto ampia risonanza, e, per chi fosse stato distratto, è raccontato qui.
Nello stesso giorno in cui l’accaduto saliva alla ribalta dei media, ho apprezzato e condiviso su Facebook il post di una pagina che seguo, e di cui vi riporto il commento:
Chissà come si sarà sentito in queste settimane questo ragazzo ascoltando i nostri beceri parlamentari definire gli omosessuali anormali deviati e una lobby di individui non solo non discriminati, ma addirittura privilegiati dediti al potere. Se è vero che il bullismo è odioso in ogni sua forma, il bullismo omotransfobico si nutre anche delle discriminazioni della società, ricadendo come un macigno sulle vittime stesse perché quando ti accade, il più delle volte ancora oggi non puoi chiedere aiuto perché hai anche il terrore di essere ‘scoperto’ o che si insinui comunque il dubbio. E in questa nostra società anche semplicemente il dubbio di essere omosessuale è insostenibile. Non è giusto, è profondamente ingiusto che un adolescente si trovi forse nel periodo più delicato della sua vita a portare il peso dell’ignoranza della società. Smettiamola di non vedere, smettiamola.
Condivido pienamente. E la mia condivisone ha dato origine ad uno scambio di opinioni, sempre su Facebook, con alcune amiche concordi con quanto espresso. Una di esse commentava che “il pregiudizio prevale sempre. Ciò che non conoscono li spaventa. Intanto ci sono persone che non sopravvivono a una condizione dagli altri considerata vergognosa.
E dire che ormai se ne parla…”
Io obiettavo che se ne parla, è vero, ma più che altro come fatto di costume, non come tema importante in ambito di diritti umani. Una manifestazione come il Gay Pride, ad esempio, viene raccontata dai media più come un evento colorato e pittoresco, che per ciò che davvero è: la rivendicazione di pari diritti, pari rispetto, pari dignità per tutti, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale.
Prendiamo ad esempio la questione dei cosiddetti “matrimoni gay” (e dico cosiddetti, perché l’unione fra due persone che si amano non può in alcun modo essere etichettato come un fatto di “colore”, santo cielo!).
Chi li osteggia, arriva al punto di sostenere che riconoscere uguali diritti a chi adesso ne ha meno, possa ledere i diritti di quelli che ne godono già.
E’ una bestialità talmente grossa che un qualunque capo di una qualunque chiesa dovrebbe arrossire di vergogna, e fare ammenda sulla pubblica piazza, per il fatto che non solo i propri fedeli o coloro che dicono di esserlo, ma perfino alcuni dei propri alti prelati, sostengano una cazzata di tali proporzioni (e scusate il francesismo).
E invece niente, quelli fanno manifestazioni, dicono no, hanno paura che ne venga qualcosa di male per se stessi e i propri figli; si autodefiniscono “normali” perché ritengono i gay anormali, pensano di essere puri, migliori di altri (°). Migliori di altri uomini e donne, di ragazzi e ragazze che soffrono in silenzio, e loro sì, che hanno un valido motivo per aver paura.
E poi magari non ce la fanno più e si buttano da un terrazzo, così alla fine qualcuno se ne accorge, e per un attimo si interroga su cosa abbiano dovuto passare quei poveretti. Dopo qualche minuto, però, al tg arriva il momento delle notizie sportive, ed è già tutto dimenticato.
Volete mettere? Gli screzi verbali a distanza fra Mourinho e CR7, oppure centodieci milioni di euro per una mezzala gallese, sono di certo assai più interessanti di un ragazzino un po’ confuso sulla propria identità sessuale. (Ciò detto, per inciso, da uno che di pallone si interessa, e neanche poco).
Ecco, dunque, perché voglio fare mio l’appello che ho riportato qui sopra: smettiamola di non vedere. E, aggiungo, parliamone. Spesso.
Tutti i giorni se serve. Fino a che di notizie del genere non ne sentiremo più: perchè di ragazzini adolescenti, sessualmente discriminati e indifesi, che per questo scelgano di togliersi la vita, non ce ne saranno più.
E’ probabile che ne resteranno ancora, fra loro, di tristi, sofferenti e confusi. Ma sceglieranno di restare comunque vivi. E sarà già un bell’inizio.
Chiudo, per ora, riportando un tweet di lunedì scorso da parte di Roberto Saviano:
Per oggi è tutto, ma vi prometto che tornerò presto sull’argomento.
Molto presto.
Stay tuned
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(°) Qualunque riferimento ai nostri cugini francesi, ovvero alla parte di coloro che dicono no alla modifica di legge che apre alle unioni fra persone dello stesso sesso – e che dallo scorso aprile non hanno ancora smesso di protestare, magari in nome di qualche presunta fede – è puramente voluto. E già che me la sono presa anche con le sacre istituzioni, ne ho pure per Papa Bergoglio. Che pare tanto buono e caritatevole, come no, ma nel momento stesso in cui chiarisce (a proposito della sua denuncia di “lobby gay” in Vaticano) che il suo accento era posto sulle lobby, non sui gay, al qual proposito si domanda “chi sono io per giudicare?”, poi precisa ulteriormente il proprio pensiero:
Non si devono discriminare o emarginare queste persone, lo dice anche il Catechismo. Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli. Quando uno si trova perso così va aiutato, e si deve distinguere se è una persona per bene.
Certo, non si devono discriminare. O emarginare. Perché sono fratelli. Lo dice anche il Catechismo. Un fratello che si trova “perso” e che “va aiutato”. Perso, capite? Per la chiesa cattolica (che io scrivo così, con la minuscola, perché la Chiesa con la maiuscola è la comunità dei fedeli; non delle “lobby” che i fedeli vorrebbero asservire, come tante pecorelle ubbidienti), cioè per papi vescovi e compagnia bella, dicevo, un omosessuale è sì un fratello, però “perso”. Dunque, un papa che in una stessa affermazione sostiene di non voler giudicare, e poi un giudizio lo esprime eccome, in quale modo potremmo definirlo? Io lo definisco ipocrita, poi giudicate voi.
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(La foto di Maurizio Marino in testa all’articolo è una gentile concessione dell’autore, che ringrazio, precisando inoltre che il contenuto del post è frutto unicamente di mie considerazioni personali, che non vogliono riflettere in alcun modo – non gliel’ho domandata – la sua opinione)
Difficile aggiungere qualcosa ad un post così ben articolato e denso di verità. Purtroppo, da che mondo è mondo, la gente non ha mai smesso di giudicare e condannare il prossimo, dimenticandosi di farsi gli affari propri. E’ sempre più difficile vivere oggi nella società, dove ci si sente soli ed inascoltati pur essendo sempre in mezzo agli altri. Anche le famiglie sentono il peso del giudizio altrui e fanno il possibile per avere figli belli, intelligenti, atletici, competitivi, vincenti, per non essere derise e magari compatite. Forse bisognerebbe cominciare proprio dalla famiglia, dove i genitori dovrebbero essere confidenti, sostenitori, incoraggiatori…Quel ragazzino aveva tentato di parlare con il padre, ma non aveva avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, o forse il padre aveva minimizzato il problema, non iaiutando il figlio a continuare il discorso. Ma ecco che siamo lì di nuovo a giudicare, e questa volta la famiglia. Essendo madre, ho imparato che è veramente il mestiere più difficile del mondo e, pur mettendocela tutta, anch’io so di aver sbagliato e di continuare a sbagliare.Parliamone, denunciamo, insegniamo ai giovani a non giudicare, ma sicuramente siamo ancora lontani dal tempo della giustizia e della comprensione.
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Sagge parole. E’ questo il motivo per cui credo sia importante parlarne, e far capire sia a questi ragazzi che alle loro famiglie che non sono soli. Per quanto poco ciascuno di noi possa fare, si tratta di salvare delle vite. Che possono, e DEVONO essere salvate.
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